TODI – Comprendere a fondo il ruolo dei social network nel contesto dei media, il loro impatto nel settore editoriale e nella professione del giornalista. E ricevere istruzioni su come usarli al meglio, con consapevolezza e in sicurezza. Sono queste le finalità del seminario di formazione e di aggiornamento, dal titolo “Social network: istruzioni per l’uso (consapevole)“, cui ha partecipato il 20 gennaio per la prima volta la redazione di Sottob@nco. Insieme a noi giornalisti professionisti e pubblicisti di varie testate dell’Umbria che si sono confrontati con esperti formatori, e consiglieri dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria, quali Massimo Angeletti e Sonia Montegiove. Presente anche un esperto di sicurezza informatica e Open Source Intelligence Paolo Giardini che ci ha presentato strumenti e tecniche di ricerca di informazioni in rete da fonti pubbliche aperte.
Che Facebook, Twitter o Linkedin siano diventati fonti informative a tutti gli effetti era per noi facilmente intuibile ma che una delle professioni più “connesse”- quella appunto del giornalista- potesse essere esposta alle facili “derive” dei social in generale era inimmaginabile.
Il giornalista Rai Massimo Angeletti ha evidenziato l’importanza delle regole deontologiche attraverso casi concreti di recenti sentenze giudiziarie – nel 2016 è entrato in vigore il testo Unico sulla deontologia giornalistica che cita in due punti proprio i social e il loro uso scorretto – e ci ha fatto capire come scrivere su mezzi di informazione per pubblicità o prestare la propria voce per spot sia vietato.
Sonia Montegiove ci ha fatto riflettere, invece, sulla necessità della consapevolezza, che nasce dalla conoscenza e dall’impegno, e su cinque aspetti che tutti- giovani e non, giornalisti e aspiranti giornalisti- dobbiamo tenere a mente: ciò che posto resta per sempre; ciò che posto rispetta le fonti; ciò che posto ha delle conseguenze; ciò che posto rappresenta me (e non solo). A lei abbiamo rivolto, alla fine, qualche domanda.
Perché l’Ordine ritiene necessario parlare di social e di uso consapevole anche con i suoi iscritti, giornalisti professionisti e adulti?
«I social network hanno profondamente e irreversibilmente cambiato il modo di fare di giornalismo, oltre che di comunicare tra le persone. Il processo di disintermediazione in atto porta sempre più spesso i protagonisti dei fatti a diffondere notizie e dichiarazioni attraverso i social e, allo stesso modo, porta i giornalisti a reperire le informazioni anche su queste nuove “piazze virtuali”, dove è comunque necessario verificare le fonti e utilizzarle nel modo corretto. Il materiale che si trova in rete e sui social è troppo spesso confuso come materiale di tutti, mentre è necessario conoscere e essere consapevoli di come il materiale pubblicato da altri possa essere utilizzato. Parlare di social network ai giornalisti significa anche sottolineare il fatto che il giornalista non smette di esserlo quando utilizza i propri profili social, considerandoli uno spazio privato. Abbiamo visto, nel corso della lezione di sabato, come le social media policy del New York Times ribadiscano ai propri giornalisti che ciò che si posta o a cui si mette like sui social è pubblico e potenzialmente può minare la credibilità del giornalista e delle testate per le quali scrive, nel caso in cui non si rispettino le regole deontologiche».
Qual è la raccomandazione numero uno che desidera fare ai giovani, principali fruitori dei social?
«La raccomandazione è quella di non perdere mai la capacità di chiedersi il perché delle cose. Perché i social sono gratuiti? Perché devo condividere queste informazioni? Perché dovrei usare questa app? Solo i perché portano a un uso consapevole degli strumenti (non solo di quelli digitali) e quindi alla possibilità di amplificare le opportunità minimizzando i rischi. La consapevolezza ovviamente è figlia della conoscenza, per cui niente può sostituire lo studio, la ricerca, la lettura di informazioni. Non dobbiamo né possiamo permetterci di utilizzare strumenti così potenti, come i social network, senza averne compreso il funzionamento (e essere quindi in grado di governarli); se e quando lo facciamo perdiamo la nostra libertà. C’è una frase di James Thurber che spiega bene la giusta modalità di approccio: “Cerchiamo di non guardarci indietro con rabbia o in avanti con paura, ma intorno con consapevolezza”. Non rimpiangiamo il passato (e questo vale soprattutto per gli adulti), non temiamo ciò che ci aspetta, ma cerchiamo di capire i fenomeni che trasformano le nostre vite e che le trasformeranno nei prossimi anni con la giusta consapevolezza».
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