TODI – “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio”: con questa citazione di Sant’Agostino si apre uno dei capitoli de “Il coraggio. Vivere, amare, educare”, il nuovo libro che Paolo Crepet, noto psichiatra e sociologo, ha presentato lo scorso 11 gennaio al Teatro comunale di Todi.
Per fronteggiare “la più grande urgenza sociale odierna”, Paolo Crepet propone a genitori, educatori e, in particolare, a quei “nativi digitali” che si accingono a esplorare la propria esistenza in una società ipertecnologica, un “ipotetico inventario” di alcune declinazioni del coraggio in vari ambiti dell’esperienza umana: il coraggio di educare, di dire no, di ricominciare, di avere paura, di scrivere, di immaginare, di creare.
Nato a Torino nel 1951, Paolo Crepet si laurea in chirurgia e psichiatria all’Università di Padova e in sociologia all’Università di Urbino. Durante i suoi studi, conosce Franco Basaglia, che diventerà suo maestro e, come lo stesso Crepet l’ha definito, “un secondo padre”. Nel 2015 vince il premio letterario La Tore Isola d’Elba, nella sua bibliografia ha un attivo di oltre 30 libri pubblicati assieme a varie prefazioni ed interventi in saggi nazionali ed internazionali.
Con lui abbiamo parlato subito prima dell’incontro.
Cosa è per lei il coraggio?
«Il coraggio è come l’aria che si respira: non puoi fare nulla senza. A fare copia e incolla non ci vuole alcuno sforzo, e ciò è mediocre. Ognuno è sulla Terra per lasciare un segno unico ed inimitabile, come Basaglia, padre di una lotta per i diritti dei cittadini e dell’omonima legge che quarant’anni fa sancì l’abolizione dei manicomi e l’introduzione del trattamento sanitario obbligatorio, non ha mai fatto politica diretta e deve essere ricordato solamente per il coraggio dimostrato, andando contro un’ intera mentalità».
“Un tempo il coraggio – nella sua accezione di ardimento fisico – era solo opera dell’umano, poi le macchine se ne sono impossessate: non più il guerriero armato delle sue proprie mani, ma di mitragliatrici, carri armati, lanciafiamme, cacciabombardieri. Un po’ come accade ora con la tecnologia: fino a trent’anni fa occorreva pronunciarsi, scrivere, telefonare, dunque esporsi”.
“Oggi si può comunicare, anzi si è indotti a farlo, senza un’interfaccia umana, dunque senza rischio, senza paura di compromettersi. E le umane virtù vengono delegate a ciò che umano non è. Così, anche il coraggio e la forza d’animo che vi è intrinsecamente connaturata stanno diventando sempre più un’astrazione virtuale, svuotata di senso, per uomini e donne che vagano senza bussola, giovani accecati dal presente e vecchi incartapecoriti nel ricordo”.
In che senso la psichiatria è l’arte di rimuovere gli ostacoli alla felicità?
«La felicità non si compra al mercato, è un’ambizione, richiede sforzo e costa fatica, è transitoria. Il compito della psichiatria è quello di aiutare le persone più deboli a trovare la felicità».
“Le dimensioni del vuoto” e “Cuori violenti”, due tra i suoi libri con più successo: quali tematiche affrontano?
«Sono due saggi che ho scritto venticinque anni fa e che affrontano tematiche complesse e delicate: il suicidio giovanile e la criminalità diffusa tra i giovani. L’obiettivo di questi libri è essere strumento di aiuto ai giovani ed agli educatori: vanno alla ricerca dei motivi che portano i giovani a scelte tanto drammatiche come la delinquenza e il suicidio».
Qual è il suo pensiero del mondo giovanile?
«Quando parliamo di giovani in maniera generica non risolviamo molto: esistono varie sottocategorie di ragazzi, una diversa dall’altra. Per i giovani ho molte speranze, essi sono comunque il futuro, indipendentemente da come siano, e quindi non si può fare a meno di avere fiducia in loro».
Qual è la sua concezione del destino?
«Non credo nel destino ma in tanti piccoli appuntamenti che bisogna saper cogliere al momento opportuno. Ognuno si deve adoperare affinché le circostanze siano favorevoli».
Tommaso Marconi
Giorgio Tenneroni
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