Una grande prova di altruismo e coraggio è stata quella di Roberto Ingria, pensionato di 66 anni, e Gianluca Milillo, vigile del fuoco di 47 anni. All’appello della Croce Rossa Italiana che ha fatto sua la richiesta dell’Azienda regionale sanitaria lombarda, i due cittadini tuderti non hanno esitato un istante a prestare il proprio servizio presso Palazzuolo sull’Oglio, in provincia di Brescia, epicentro del Coronavirus. «È lo stesso motivo – spiega Roberto – che mi ha spinto, da tre anni a questa parte, ad effettuare più di 400 servizi sul territorio di Todi, e cioè aiutare chi ha bisogno. Certo con la consapevolezza in più che questa volta c’era una pericolosità di contagio in un’ emergenza sanitaria che negli altri servizi indubbiamente non c’era».
Un atto totalmente volontario, dunque, quello che li ha spinti a recarsi, dal 19 al 25 marzo, in questo Comune di 20.000 anime, in cui il Covid-19 impera incurante, dando una mano, ospiti della sede locale della Cri, ai propri colleghi lombardi. «Abbiamo attraversato paesi dominati da un silenzio spettrale. Non si vedeva una persona, era tutto deserto, le saracinesche dei negozi erano tutte abbassate. Le uniche forme di vita si incontravano fuori dei supermercati», raccontano i due volontari. Una volta arrivati, non hanno perso un solo momento e, dopo un’intensiva lezione al centro formazione Croce Rossa sul Covid-19 e sui protocolli specifici da seguire, hanno subito dato prova della loro grande magnanimità e coraggio. Il compito che era stato loro affidato consisteva nel trasferimento dei malati da una struttura ospedaliera all’altra.
«Sicuramente il mio primo servizio in Lombardia è stato devastante– racconta Roberto – intorno alle 14.00 è arrivata la chiamata dalla Centrale Operativa dell’Areu (Agenzia regionale emergenza urgenza) che ci assegnava il servizio. Siamo partiti e ci siamo recati in ospedale a Bergamo perché dovevamo trasportare un malato Covid-19. Lì c’è stato il mio primo contatto con il Coronavirus. Non lo vedi, non lo senti, ma sai che c’è, è lì. Ti trovi in mezzo a una cosa mai vista, neanche mai nominata, senti la tensione in aria, senti la preoccupazione, la paura… Infermieri che hanno un passo veloce, tutti hanno qualcosa da fare. In una situazione del genere ti senti veramente piccolo, minuscolo, inadeguato tanto è grande la situazione che ti trovi di fronte. Hai di fronte un uomo, un ragazzo di 42 anni, intubato. È lì, sta lottando per la vita, da solo, non c’è un parente, un amico, un familiare, ma da solo sta combattendo questa battaglia. Regna il silenzio. I malati Covid-19 non possono avere familiari, parenti, amici. Vivono la malattia in completa solitudine e purtroppo muoiono in completa solitudine. È stato molto triste».
«La situazione così critica richiede grande responsabilità e professionalità – aggiunge Gianluca – l’adrenalina sale a mille e la concentrazione è tanta in quanto la vita del paziente è nelle tue mani. Sono abituato all’emergenza, essendo stato per 25 giorni, a seguito del sisma del 2016, nelle cucine di Ancarano di Norcia, ma qui si tratta di un’emergenza a sé. Fuori dall’ospedale di Bergamo si respirava la morte: davanti a noi, all’ingresso, una tenda bianca da cui uscivano troppo spesso bare. Ogni due o tre persone che portavamo lì vive, vedevamo transitare un carro funebre». Eppure questo non gli ha impedito di dimostrare la sua grande capacità di controllo e la sua forte motivazione, come aveva già dimostrato in un’esperienza precedente.
Particolare è stata la dichiarazione di Roberto: « Ho valutato il fatto che ero un soggetto a rischio, sia per l’età sia per patologie pregresse (ipertensione) e non ultimo il fatto che pochi giorni prima di partire ho avuto una fibrillazione atriale per cui sono stato ricoverato un paio di giorni a Pantalla. Questa considerazione mi ha spinto a scrivere il mio testamento: tanta era la paura e la preoccupazione per quanto andavo a fare, ma non mi ha fermato e non mi ha fatto rimanere a casa». Ora i due cittadini tuderti sono a casa, hanno superato il periodo di quarantena imposto loro al rientro ma, se dovessero essere nuovamente chiamati a prestare il loro servizio, non esiterebbero nemmeno un istante. La loro grande prova di coraggio e volontà di aiutare il prossimo li ha resi l’orgoglio di Todi.
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