LA PILLOLA CHE NON A TUTTI VA GIÙ

Come tutti gli argomenti che tirano in ballo l’eticità di determinate decisioni, l’interruzione volontaria di gravidanza in generale, e in particolare la sperimentazione della pillola abortiva (o RU486), suscita molteplici polemiche da parte dei sostenitori e dei detrattori di questo metodo. La Ru486 (il nome del farmaco è Mifegyne) è arrivata in Italia nel 2009 dopo il via libera alla commercializzazione da parte dell’Aifa (Agenzia italiana per il farmaco): si tratta di un medicinale che fornisce un’opzione non chirurgica, ma farmacologica, per l’interruzione della gravidanza.

Un argomento estremamente delicato su cui i giovani sembrano poco informati; se ne parla poco in famiglia, niente a scuola e poco anche all’interno del gruppo. Una sorta di tabù, nonostante i giovani non disdegnerebbero individuare nella scuola un luogo di confronto. In molti, in particolare, tendono a fare confusione con la pillola del giorno dopo.

Proprio per questo motivo abbiamo cercato di capire quali sono i pensieri, le opinioni e le prese di posizione dei ragazzi del nostro Liceo. Dal confronto informale sono emersi dati che riflettono una certa carenza di conoscenza dell’argomento e molti dubbi, a vari livelli. Si va da chi conosce il metodo abortivo farmacologico a chi dichiara di non conoscere nessun metodo di interruzione della gravidanza, né farmacologico né chirurgico. La maggior parte difende la libertà di scelta delle donne, ma mostra sensibilità anche nei confronti di una vita che sta sbocciando. Alcuni ritengono che la morale o la religione non debbano incidere sulle scelte cliniche di un paziente, altri sottolineano che le scelte dipendono dalle situazioni, quindi è necessario discernere caso da caso. Un aspetto, però, appare con nitidezza: se da una parte c’è  disinformazione o indecisione, dall’altra i giovani sono desiderosi di conoscere e di capire, per divenire cittadini informati e consapevoli delle proprie scelte.

Durante la scorsa estate la Regione Umbria, che aveva abrogato una precedente delibera che permetteva di praticare l’aborto farmacologico in day hospital e aveva optato per un ricovero di tre giorni in ospedale in caso di assunzione della Ru486, si è adeguata al Consiglio superiore della sanità. Quest’ultimo, vista anche l’emergenza pandemica in corso, ha espresso parere favorevole al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico fino a 63 giorni, pari a 9 settimane compiute di età gestazionale, “presso strutture ambulatoriali/consultori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati all’ospedale, autorizzati dalla Regione, oppure in ambiente ospedaliero, in ricovero ordinario o in day hospital”.

Vittoria per le donne, per la scienza e per la laicità del Paese o ‘fantasma’ di libertà sulla pelle di figli e donne? 

Un tema – lo ripetiamo – delicato, ma con cui abbiamo voluto misurarci, a scopo informativo, intervistando Assuntina Morresi, Professore associato di Chimica Fisica presso il Dipartimento di Chimica, Biologia e Biotecnologie dell’Università degli Studi di Perugia. Dal 2006 fa parte del Comitato Nazionale per la Bioetica e dal 29 aprile del corrente anno fa parte del “Gruppo di lavoro Bioetica Covid-19” presso l’Istituto Superiore di Sanità.

Facciamo un po’ di chiarezza. Può spiegarci esattamente in cosa consiste laRU486 e in che cosa, invece, la “pillola del giorno dopo”?

La RU486 è una pillola abortiva: viene somministrata dopo l’accertamento di una gravidanza in corso, e la sua somministrazione provoca la morte dell’embrione in utero. La procedura abortiva farmacologica prevede poi, dopo 48 ore dalla RU486, la somministrazione di prostaglandine, sostanze che inducono le contrazioni per espellere l’embrione. Invece la “pillola del giorno dopo” è classificata come “contraccettivo di emergenza”, e si assume dopo un rapporto fisico che potrebbe aver portato a un concepimento. Se questo ancora non c’è stato, il prodotto funzionerà come un contraccettivo, impedendo il concepimento, mentre se l’embrione è già formato questa pillola non gli consentirà di annidarsi in utero, provocando quindi un precocissimo aborto. Una donna che assume questo prodotto non può sapere quale dei due meccanismi si attivi, perché a questo stadio non si può stabilire se c’è stato o meno un concepimento. Di queste pillole ce ne sono in commercio di due tipi, una che agisce al massimo entro 72 ore dal rapporto fisico “a rischio”, e l’altra entro cinque giorni.

Assuntina Morresi, professore associato di Chimica Fisica

Sempre più giovanissime fanno uso della “pillola del giorno dopo”, senza ricetta. Può illustrarci i danni collaterali e gli effetti sull’organismo? Ha un fondamento scientifico il fatto che essa possa provocare attacchi di panico?

La dizione stessa “di emergenza” sta a significare che questo prodotto è destinato esclusivamente a un uso occasionale, e sono gli stessi produttori a dirlo. Gli effetti collaterali sono descritti nel foglietto illustrativo. Ad esempio nella “pillola dei cinque giorni dopo” (ellaOne nome commerciale), quelli comuni sono “nausea, dolore addominale (mal di pancia) o fastidio, vomito, mestruazioni dolorose, dolore pelvico, dolore al seno, mal di testa, capogiri, sbalzi d’umore, dolori muscolari, mal di schiena, stanchezza”. Quelli non comuni: “diarrea, bruciore di stomaco, flatulenza (gas intestinali), bocca secca, sanguinamento vaginale insolito o irregolare, mestruazioni abbondanti/prolungate, sindrome premestruale, irritazione o perdite vaginali, calo o aumento della libido (desiderio sessuale), vampate di calore, alterazioni dell’appetito, disturbi emotivi, ansia, agitazione, difficoltà ad addormentarsi, sonnolenza, emicrania, disturbi visivi, influenza, acne, lesioni della pelle, prurito, febbre, brividi, malessere” . Poi ci sono anche quelli rari. Questa pillola blocca l’ovulazione per alcuni giorni, ed ha quindi un’azione ormonale potente; ha anche un certo numero di controindicazioni (per es. è controindicata per severi stati di asma, per chi ha certe patologie al fegato e al rene), per cui ad es. il Consiglio Superiore di Sanità (CSS), in un suo parere del 2015, anche per la “possibilità di gravi effetti collaterali su donne a rischio in caso di assunzioni ripetute o multiple in assenza di controllo medico”, si è pronunciato perché “il farmaco ellaOne debba essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall’età della richiedente”. Cioè il CSS si è pronunciato per la vendita dietro ricetta medica a qualsiasi età della donna. Nel foglietto illustrativo non si parla di attacchi di panico, ma di disturbi emotivi, ansia, agitazione, senza altri riferimenti alla loro intensità.

Le nuove linee ministeriali estendono la possibilità di ricorrere all’aborto farmacologico mediante la pillola Ru486 fino alla nona settimana di gravidanza. Quali nuovi scenari aprono, anche in riferimento alla Legge 194?

L’aborto farmacologico, prima che un metodo per abortire, è un progetto politico per modificare la legge 194 senza passare per il parlamento. E’ un metodo per spingere le donne ad abortire a casa, al di fuori delle strutture ospedaliere (quindi in contrasto con la L.194), facendo ricadere su di loro l’intera gestione dell’aborto. E’ infatti impossibile prevedere la tempistica dell’espulsione dell’embrione, che mediamente avviene entro tre giorni dalla somministrazione della RU486, ma che può avvenire anche successivamente, fino a 10-14 giorni. Le donne sono quindi spinte a tornarsene a casa e adesso, con le nuove linee di indirizzo del Ministro Speranza, senza ricovero ospedaliero per i tre giorni di maggior probabilità di aborto: se ancora non hanno abortito potranno farlo ovunque, contrariamente a quanto prevede la 194, che fa un elenco preciso delle strutture del Servizio Sanitario Nazionale in cui si può interrompere la gravidanza. Con la RU486 l’aborto non è più visto come un problema sociale, qualcosa da evitare, un’ultima ratio, come prevede la L.194, ma come un atto medico privato, che riguarda solo la donna che lo fa. Estendere il periodo a nove settimane è funzionale alla diffusione del metodo: quanto più lo si diffonde, tanto più sarà necessario cambiare la legge, adeguandola all’aborto a domicilio.

Lei è stata l’autrice, insieme a Eugenia Roccella, dieci anni fa del libro La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola abortiva Ru486. Ci dica quali sono i miti e quali la realtà…

Il mito è quello di un aborto facile, anche simbolicamente perché si può fare prendendo una pillola, che sta nel palmo di una mano e si ingoia con un sorso d’acqua. Ma la realtà ci dice che l’aborto farmacologico è più incerto, lungo e doloroso di quello chirurgico. Come già detto, una volta presa la RU486 non è possibile sapere quando avverrà. Gli effetti collaterali variano a seconda della risposta individuale: nausea, vomito, diarrea, febbre e dolore, per cui si fa un largo uso di antidolorifici. La mortalità per aborto chimico è maggiore di quella per aborto chirurgico: dieci volte, secondo il New England Journal of Medicine. E’ interamente sulle spalle delle donne, che debbono essere consapevoli di tutto quello che loro accade. Per esempio sono loro a stabilire quando l’emorragia diventa severa e quindi c’è bisogno di andare in ospedale: quando il sanguinamento è tale che si devono cambiare quattro assorbenti maxi in due ore, allora bisogna subito andare al Pronto Soccorso (linee di indirizzo Ministeriali). E d’altra parte, basta leggere i criteri di esclusione non clinici, sempre nelle linee di indirizzo del Ministro Speranza: “vanno attentamente valutate per una esclusione: pazienti molto ansiose, con una bassa soglia di tolleranza al dolore, con condizioni socio abitative troppo precarie, con impossibilità di raggiungere il pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico entro 1 ora. Stante quanto sopra, per le donne straniere si deve accertare l’avvenuta comprensione linguistica della procedura e dei sintomi che la donna stessa deve valutare autonomamente (intensità del dolore, sanguinamento, ecc.)”.

Che significa oggi parlare di bioetica? Quali sono gli scenari che deve affrontare oggi un professionista che come lei si occupa di questo? Quali sono gli scenari che interessano di più i giovani?

Questa domanda richiederebbe tantissimo spazio, difficile sintetizzare. Ci provo: oggi, come sempre, parlare di bioetica significa interrogarsi su come le nuove tecniche, specie in ambito biomedico, stanno modificando l’umano, i fondamenti dell’umano. Basti pensare ad es. al fatto che adesso il padre è sempre certo, grazie all’analisi del Dna, e la madre non più: una donna può partorire un figlio non suo, di madri che danno un contributo biologico al figlio ce ne possono essere fino a quattro, e non è possibile stabilire chi è “la” madre, se non con un contratto. Trattare tutto questo innanzitutto nell’ambito del diritto, come “nuovi diritti civili”, è fuorviante: sono in gioco trasformazioni antropologiche impensabili fino a poche decine di anni fa. Gli scenari che interessano di più i giovani, a mio avviso, sono proprio quelli che riguardano strettamente le ricadute antropologiche: genitorialità, filiazione, identità di sé a partire dal genere di appartenenza. Sono anche quelli che interessano di più a me. La pandemia in corso, da questo punto di vista, offre una prospettiva nuova da cui guardare molte cose.

Ringraziamo la Professoressa Morresi per questo esauriente approfondimento e ci auguriamo che possa essere stato utile ad una completa presa di coscienza di questa rilevante tematica.


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