Esploriamo insieme alla Prof.ssa Assuntina Morresi e alla Prof.ssa Luisella Battaglia le diverse posizioni e problematicità che “spaccano” la platea bioetica sul tema del fine vita. Noi ragazzi del Liceo Jacopone da Todi vi portiamo al centro del nostro dibattito.
Una delle attività proposte quest’anno dal nostro Liceo che senza dubbio ha riscosso maggiore successo, è stata il ciclo di dibattiti intitolato “Quale vita? Quale morte?”, che si è svolto in due appuntamenti pomeridiani. I ragazzi della nostra scuola hanno mostrato, attraverso una forte adesione, il loro interesse per degli spunti di riflessione impegnativi, e per certi versi complessi, quali emergono dalla vastissima discussione bioetica. Le nostre accompagnatrici in questo percorso di crescita e confronto sono state due ospiti d’eccezione, entrambe membri del Comitato nazionale per la Bioetica: la Professoressa Assuntina Morresi e la Professoressa Luisella Battaglia. Docenti rispettivamente di Chimica Fisica presso l’Università degli Studi di Perugia e di Filosofia Morale e Bioetica all’Università degli Studi di Genova e Suor Orsola di Napoli. Le Professoresse sono state per noi dei veri e propri fari nel buio. Pur attraverso delle prospettive differenti, ci hanno guidato nella comprensione delle complessità che connotano il dibattito bioetico e nonostante ciò, o forse proprio per questo, ci hanno fatto appassionare ad una dimensione culturale di cui non si fa spesso esperienza , ma che invece può risultare fondamentale per orientarci nei momenti cruciali della nostra vita.
Derivante dalla combinazione dei due termini greci “èthos” e “bìos”, vale a dire “etica della vita”, la bioetica è una scienza che si occupa delle questioni morali legate alla ricerca biologica e alla medicina. Come possiamo ben capire, dunque, essa non è una disciplina a sé stante, in quanto si sviluppa attorno agli interrogativi più importanti che la vita ci pone. Proprio questo infatti hanno voluto trasmetterci le nostre relatrici: la spinta a porsi delle domande, a riflettere, a sviluppare una capacità e una personalità critica: questo vuol dire conoscere la bioetica e affrontare un percorso interiore di tal calibro. Molto spesso infatti quando ci troviamo a dover pensare a delle prospettive per noi difficili o che ci spaventano preferiamo soprassedere, rimandare le scelte ad un momento in cui saremo più pronti. Tuttavia non sempre si ha la possibilità, o meglio il tempo, di aspettare, perché la vita è imprevedibile e può portarci, a volte repentinamente, a operare una scelta di tipo etico. Questo è ciò a cui la suddetta disciplina ci prepara, vale a dire ad affrontare la vita con una visione ben definita, il che comporta anche assumersi la responsabilità di essere noi in prima persona al centro delle nostre scelte. Per dedicare lo spazio opportuno ad una riflessione così centrale e vitale per l’essere umano, in Italia il 28 marzo 1990 è stato istituito il Comitato Nazionale per la Bioetica, di cui la Prof.ssa Morresi e la Prof.ssa Battaglia sono membri onorevoli. Esso svolge sia funzioni di consulenza per il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni, sia funzioni informative nei confronti dell’opinione pubblica riguardo i problemi etici emergenti con il progredire delle ricerche e delle applicazioni tecnologiche nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute.
In particolare gli interrogativi che perennemente alimentano il dibattito si pongono in questi termini: è lecito eticamente realizzare tutto ciò che è tecnicamente possibile? Esiste qualcuno nella posizione di giudicare e quantificare il dolore degli altri? E’ giusto mantenere in vita una persona anche a scapito della qualità della vita stessa? Tutte queste domande investono la delicata questione del fine vita e sono inevitabilmente fonte di posizioni contrastanti. Tuttavia, per comprendere al meglio il dibattito, riteniamo sia opportuno fare una premessa, ovvero sottolineare come il “nocciolo” della riflessione non risieda in chi decide di lasciare un testamento biologico o di eseguire un suicidio assistito, che sia il paziente, il medico o lo Stato. Bensì sta nel cercare di capire che cosa si sta realmente scegliendo o tutelando, se la vita, la morte, o semplicemente la libertà di scelta, la quale è uno dei fondamentali diritti umani. E’ possibile, dunque, trovare un compromesso o per forza è necessario schierarsi in maniera assoluta per una determinata posizione? Il Comitato Nazionale a tal proposito si spacca in tre schieramenti: chi è favorevole al suicidio assistito e all’eutanasia, anche nel caso in cui si tratti di soggetti non dipendenti da sostegni vitali, chi è totalmente contro perché considera sbagliato porre sullo stesso piano il valore della vita e quello della morte, e infine chi ritiene non abbia senso pensare di porre una fine alla propria vita, se prima non è stato fatto tutto il possibile, ovvero se non sono state garantite e percorse a fondo le opportune cure palliative.
La scelta sta dunque nel paradigma che intendiamo seguire, se quello del favor vitae o quello di mettere sullo stesso piano la scelta della morte e la scelta della vita. La professoressa Morresi, dichiaratasi totalmente contro il suicidio assistito, ha esposto la sua opinione cercando di spiegare la sostanziale differenza tra le due visioni opposte del Comitato Nazionale per la Bioetica. Chi infatti si schiera a favore di atti come il suicidio assistito tende a porre l’attenzione sulla tutela della scelta umana rispetto alle proprie decisioni anche e soprattutto in ambito medico e sociale. In sostanza viene affermata l’autodeterminazione. Secondo questo paradigma si ha l’idea che la scelta di vivere abbia lo stesso valore della scelta di morire e che non debba essere lo Stato a decidere quando un’ esistenza non è più sopportabile, ma solo il soggetto interessato ( o chi per lui, eventualmente) . Ma la domanda che la professoressa ha evidenziato è: “Chi decide allora quando una vita diventa non più vivibile? Chi può decidere se la morte di un figlio dia meno sofferenza di una malattia neurodegenerativa?”. La risposta a questo punto non può che avere uno scarto soggettivo e diventare problematica, creare un problema di deriva della scelta, che generalizzandosi si connoterebbe come una sorta di “piano scivoloso” in cui non si possa più arginare la discrezionalità di chi decide . La professoressa ritiene che l’idea che si sta affermando sempre più è che lo Stato debba innanzitutto rispettare le scelte del soggetto, piuttosto che curare il suo profilo sanitario operando preliminarmente tutto ciò che è possibile. Per questo oggi in molti paesi, come ad esempio l’Olanda, le morti sono aumentate. Infatti rendendo pratiche come l’eutanasia facilmente accessibili, si è offerta una scorciatoia alla fine del dolore, non tutelando più la vita, bensì la morte, limitandosi alla verifica, attraverso un apparato legislativo, che l’accompagnamento al decesso sia stato effettuato in modo sereno e secondo le norme prescritte.
La Professoressa Luisella Battaglia, invece, sostiene come noi non siamo una proprietà dello Stato ed è per questo che la libertà di scelta deve restare al soggetto. L’autonomia diventa infatti un tema fondamentale, ma non in senso prettamente individuale ma essenzialmente relazionale, vista cioè all’interno della relazione con gli altri, senza la quale non potremmo nemmeno renderci conto della nostra libertà.
Un punto d’incontro di entrambe le visioni è l’importanza della solidarietà umana. Il farsi carico di un’altra persona sta diventando sempre più un compito ingrato, perché ci si sente sempre più degli atomi isolati senza alcuna fiducia nel prossimo, cosa che invece rappresenta il collante di una società. La professoressa infatti ci ricorda come: “Siamo noi che scegliamo ma dobbiamo essere informati. Se io sono colei che decide non vuol dire che sono isolata dagli altri. Bisogna essere un soggetto che si sente in relazione con gli altri”.
La terza visione del Comitato Nazionale della Bioetica appoggia l’idea che bisogna impegnarsi a garantire a tutti la giusta assistenza e gli specifici aiuti del caso, evitando il più possibile di cadere nel rischio di offrire una facile via d’accesso a decisioni irreversibili come ad esempio il suicidio assistito . Di solito chi chiede di morire sta chiedendo aiuto, ma se si pensa che la morte sia un rimedio bisogna stare attenti che non si stiano precludendo altre soluzioni: va invece sottolineata l’importanza di percorrere significativamente le possibilità offerte dalle cure palliative, dalle terapie del dolore che oggi si qualificano di altissimo livello.
Oltre alle riflessioni che emergono da una discussione così complessa, dobbiamo però cercare di inquadrare tutto ciò in un contesto concreto e pratico, cioè quello del nostro Stato. Dunque cosa è legale, oltre che etico, attuare? Quali sono le nostre possibilità in merito? Riguardo alle decisioni di fine vita, l’Italia è ancora molto arretrata nel panorama europeo. Secondo il nostro piano legislativo per ricevere, o per contro rifiutare, qualsiasi trattamento sanitario è necessario che il paziente abbia espresso la propria volontà tramite il cosiddetto consenso informato. Il problema dunque sorge nel caso di un paziente affetto da una malattia terminale o inguaribile o invalidante che rende incapaci di comunicare ed esprimere il proprio volere. Questa situazione potrebbe essere ovviata attraverso la redazione di un documento molto importante, vale a dire il testamento biologico. Mentre, però, in paesi come Belgio, Olanda e Germania già da tempo ci sono leggi che regolano questa materia, in Italia manca ancora una legge specifica sulla DAT, cioè le dichiarazioni anticipate di trattamento. Ciò costituisce un “gap” legislativo molto significativo, poiché getta ulteriore indecisione su questioni che hanno la necessità di essere inquadrate in un progetto giuridico, come la pratica dell’eutanasia, che ad oggi è proibita su territorio nazionale, l’accanimento terapeutico e, per contro, la sospensione delle cure. Tuttavia, casi come quelli di Piergiorgio Welby, Dj Fabo ed Eluana Englaro hanno dimostrato l’inadeguatezza della legislazione italiana, dando vita anche qui ad un’ondata di reazioni tale da creare un dibattito senza precedenti. Degli scossoni di cui forse i nostri vertici di potere hanno bisogno.
Un altro tema che ci tocca direttamente, soprattutto oggi, e che predispone un problema etico è quello riguardante la vaccinazione. Ultimamente la parola vaccino è stata sempre più utilizzata nel mondo politico, medico e sociale ma, soprattutto a causa del problema dell’obbligatorietà, ha interessato anche il mondo della bioetica. Il consenso, l’insicurezza degli effetti di un vaccino predisposto in così poco tempo, e principalmente il problema delle risorse sono stati l’oggetto della fatidica domanda: chi decide? Chi decide infatti a chi poter dare un vaccino? O meglio, a causa del virus, chi deve ricevere un respiratore tra 10 persone malate? Il covid ci ha posto di fronte a nuovi scenari, dove gli aspetti da analizzare sono a dir poco illimitati.
Come abbiamo potuto vedere con l’avvento delle nuove tecnologie, soprattutto in ambito medico, si sono create delle nuove problematiche di fine, inizio e durata della vita, infatti la riflessione bioetica si fonda sulla tensione tra una possibilità tecnica ed una liceità etica. Nonostante vengano sempre considerati temi difficili o non adatti a determinate età, essi ci riguardano, sostanziano la nostra definizione dell’essere al mondo, e in una società democratica come la nostra in cui vige il pluralismo delle idee, è molto utile, anche nell’età scolare adolescenziale, confrontare le nostre opinioni nella comune consapevolezza di quanto sia importante il dialogo interpersonale, in cui il rispetto verso un parere altrui è fondamentale. Ciò che infatti ci possono aiutare a comprendere incontri di questo genere, basati su un dibattito aperto e tollerante, è che dietro ad ogni singola decisione deve esserci un’idea di solidarietà, in quanto, come direbbe Aristotele, l’uomo è un animale sociale, pertanto non è stato creato per vivere separato dagli altri, ma per relazionarsi sempre in un ambiente che permetta la sua stessa autodeterminazione. Per quanto possa sembrare una dimensione distante o poco accessibile, la bioetica fa parte in realtà della nostra esperienza quotidiana: ognuno di noi è tenuto ad avere un pensiero consapevole e responsabile riguardo alla propria vita. Pensiero che dibattiti come quello sopra descritti , e forse anche articoli come il presente, possono favorire e promuovere. In questo almeno noi crediamo.
Lucia Contenti, Martina Mannaioli
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