A distanza di 700 anni, la Divina Commedia continua a essere uno dei capolavori letterari più stimati al mondo. Sia nella sua serva Italia, sia fuori di essa, si presenta come un pilastro e un momento di svolta nella storia della letteratura mondiale. Anche la generazione dei più giovani, nonostante la continua distrazione offerta dall’avvento della tecnologia e dei social, riesce ad apprezzare l’intrinseca veridicità dell’immaginario dantesco, la cui rappresentazione dell’esistenza umana ritrova molti punti di contatto con la moderna percezione del mondo e della vita. Proprio come la Divina Commedia presenta delle corrispondenze con i collettivi e moderni stati d’animo, alcuni studiosi hanno ritrovato nella descrizione astronomica dell’universo dantesco una possibile premonizione della teoria della relatività di Einstein. Eppure, a distanza di così tanti anni, è lecito pensare che Dante abbia anticipato uno dei più grandi fisici dell’età moderna nella rappresentazione del mondo?
Durante la sua formazione culturale, Dante Alighieri si era cimentato nello studio delle cosiddette arti del Trivio (grammatica, retorica e dialettica) come anche delle arti del Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica). È la conoscenza di quest’ultime a confermare la relativa ma sufficiente competenza di Dante nell’ambito delle discipline scientifiche, oltre a quelle umanistiche. Dunque, se è vero che il sommo poeta abbandonò una carriera in medicina per dedicarsi alla letteratura, non è da sottovalutare la sua dimestichezza con un sapere più tecnico e matematico. Tuttavia, non tutti gli studiosi concordano nell’attribuire al letterato Dante il merito di aver precorso Einstein nella raffigurazione dell’universo come lo conosciamo noi oggi.
L’astronomia pervade interamente la Divina Commedia, motivo per cui lo studioso Giovangualberto Ceri è riuscito a datare correttamente il momento del viaggio, compiuto secondo lui idealmente il 25 marzo 1301, festa dell’Annunciazione. Nonostante già nel 1979 il matematico statunitense Mark Peterson avesse letto nel relativo passo del Paradiso una semplice e chiara rappresentazione dell’universo, la sua tesi non fu da subito acclamata. Anche nel 2006 con la pubblicazione del libro dello studioso rumeno Horia-Roman Patapievici, Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante? (Bruno Mondadori), l’idea di un Dante-premonitore della struttura del mondo rimane relativamente ignorato dal circolo della critica dantesca. Con l’articolo dell’astrofisico milanese Marco Bersanelli dello stesso anno, già comincia ad acquistare più credibilità, ma è solo con il passare del tempo che la teoria si rese ancor più solida, fino alla pubblicazione recente su “Il Sole 24 ore” di un articolo-saggio di Carlo Rovelli, che spiega l’attendibilità della tesi iniziale di Peterson.
La base per lo sviluppo del concetto è appunto la descrizione che Dante fa dell’universo nel Paradiso. Viene individuata nella rappresentazione del mondo una diretta corrispondenza con la cosiddetta “tre-sfera”, ovvero una sfera a quattro dimensioni posta nello spazio euclideo, la stessa forma che Einstein utilizzò sei secoli dopo per rappresentare l’universo.
Nel testo, Beatrice invita Dante a girarsi e osservare la Terra dalla loro posizione, che corrisponderebbe alla sfera più esterna dell’universo aristotelico. Il pianeta è visto come un punto lontano e rotante, circondato dai diversi cieli planetari. Voltando lo sguardo verso l’alto, poi, Dante vede un punto lontano e abbagliante, che dovrebbe rappresentare Dio, in posizione speculare alla Terra, e circondato dalle nove sfere di angeli. Più in particolare, si legge nei canti finali: «questa altra parte dell’Universo d’un cerchio lui comprende, sì come questo li altri», e nel canto successivo: «parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude». Quindi, lo spazio occupato dal punto di luce e dagli angeli sembra allo stesso tempo circondare l’universo ed esserne circondato.
Dunque, studiosi come Patapievici affermano che i disegni di Barthélemy Chasseneux nel 1529 e Michelangelo Cactani nel 1855, simili a quelli che si trovano nei libri di testo delle scuole, non corrispondono all’effettiva descrizione che dà Dante dell’universo, in quanto rappresentano Dio e le sfere angeliche separati dal mondo terrestre. Infatti, sono posti in uno spazio “oltre” i cieli planetari, in corrispondenza quindi con la visione aristotelica. Anche il maestro di Dante, Brunetto Latini, indica la divinità come un ente che risiede proprio oltre il limite dei cieli terrestri nella sua opera Li livres dou Tresor, su cui studiò Dante stesso.
Secondo la teoria della tre-sfera, invece, la Terra e i suoi cieli e Dio e le sue sfere angeliche si troverebbero uniti dal “Primo Mobile”, inteso non più aristotelicamente come la fine dei cieli terrestri e il passaggio a uno spazio “oltre”, ma piuttosto come una linea che unisce le due semisfere Terra-cieli e Dio-sfere angeliche. Il Primo Mobile, infatti, è assimilabile al nostro equatore, mentre Dio e la Terra sarebbero come il polo nord e il polo sud. Una spiegazione di tutto ciò è rintracciabile anche nel testo, come nota Patapievici: Dante, che descrive gli occhi di Beatrice come “specchi” attraverso cui osserva Dio e le sfere angeliche, vede questi come un’immagine uguale e riflessa della Terra e i cieli planetari, come allo specchio.
Se oggigiorno molti studiosi leggono nella descrizione di Dante una rappresentazione oggettivamente corretta dell’universo, non è ben chiaro se il poeta, nonostante nessuno dubiti della sua formazione matematico-scientifica oltre che umanistica, avesse avuto l’intenzione precisa di presentare il mondo così o se la rilettura moderna del passo attribuisca a Dante un merito in realtà inconsapevolmente conseguito. Secondo Carlo Rovelli, Dante avrebbe tratto ispirazione dal Battistero di Firenze, nel quale si ricalca esattamente la struttura dell’universo descritta nel Paradiso: la lanterna sulla sommità della cupola rappresenterebbe il punto luce di Dio, circondato poi da nove ordini di angeli. Pertanto, l’interno del Battistero si potrebbe dire una due-sfera, mentre il mondo di Dante ne sarebbe la corrispondente immersa però in uno spazio quadridimensionale.
Non si potrà mai sapere se Dante avesse effettivamente conosciuto la struttura dell’universo, ma è curioso notare come anche la poesia possa prestarsi come un medium adatto a rappresentare le conoscenze fisiche e astronomiche. Come il Dio e la Terra dell’immaginario dantesco della tre-sfera, la fisica e la letteratura sono mondi apparentemente distanti, ma l’uno racchiude l’altro e allo stesso tempo ne è racchiuso, entrambi parte integrante di un universo non così appartato come si credeva.
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