È questo il titolo che ho trovato più consono per un articolo sull’ultimo film del noto regista Pupi Avati, arrivato nelle sale dei cinema italiani il 29 settembre scorso e che molti studenti, come me , hanno potuto vedere presso il cinema Nido dell’Aquila di Todi. Un film che mi ha colpito per la sua sceneggiatura particolarmente malinconica.
Nonostante il riferimento all’autore de La Divina Commedia già nel titolo, “ Dante”, la trama per lo più ruota attorno al Sommo Poeta, che ci viene presentato solo parzialmente in modo diretto. Il film inizia con la morte di Dante anziano (Giulio Pizzirani) e la tortuosa vita dell’autore viene ripercorsa per la maggior parte attraverso gli occhi e le parole di Giovanni Boccaccio (un ottimo Sergio Castellitto), con frequenti flashback in cui appare un giovane Alighieri (il convincente Alessandro Sperduti): con questa scelta indiretta e “spezzata” si raccontano gli eventi che hanno modellato la vita di Dante, dall’infanzia fino all’esilio da Firenze, sua città natale, e alle peregrinazioni in giro per l’Italia.
L’espediente narrativo utilizzato dal regista , quello del viaggio compiuto da colui che è stato il primo e forse più grande ammiratore di Dante (è noto che fu proprio Boccaccio a definire “divina” la commedia dantesca), risulta una scelta adatta a snellire e movimentare la vicenda, altrimenti un po’ statica, e a dare spazio ai ricordi, alle riflessioni, ai sentimenti di entrambi i letterati. Boccaccio, mentre si reca a Ravenna dalla figlia di Dante, a cui deve consegnare una somma di denaro con la quale la città di Firenze intende risarcire il Poeta -moralmente prima ancora che economicamente- per averlo esiliato, matura la consapevolezza di quella che è stata la vita, pubblica e privata, del suo “maestro”, ha modo di contemplare la sua personalità attraverso i ricordi delle persone che lo avevano conosciuto o gli erano state vicine: tra tutte la più importante, la figlia Beatrice, ormai suora anziana (Valeria D’Obici). Commovente la scena finale del dialogo tra i due, di notte, seduti nel chiostro del convento, anche se forse al film in questo frangente si aggiunge un sapore un po’ troppo “agiografico”. «L’unica vera gioia della mia vita», dice Boccaccio a Beatrice: per lui Dante non è solo un grande poeta ma una figura paterna, che gli ha insegnato ad amare. Ed è evidente che il viaggio intrapreso assume una connotazione simbolica, quasi un pellegrinaggio spirituale.
L’idea nel complesso appare interessante e originale, anche se il regista ha scelto imprevedibilmente di “trascurare” quasi completamente l’opera per cui Dante è maggiormente conosciuto (pochi e veloci i riferimenti, e in contesti secondari, come quelli a Paolo e Francesca, o al Conte Ugolino), forse perché il contrario avrebbe avrebbe conferito al film un taglio didascalico e letterario, e ha preferito concentrarsi invece sulla sua vita e i suoi sentimenti tramite l’occhio di una figura altrettanto fondamentale per la cultura, la poesia e la prosa italiana. Ha scelto anche di dare maggior spazio, soprattutto attraverso suggestioni e atmosfere, all’altra immortale opera ma assai meno conosciuta del Sommo, cioè “La vita nuova”. Proprio qui, nel sentimento per Beatrice (un’espressiva Carlotta Gamba) , negli sguardi profondi, nell’immaginazione erotica del poeta i passaggi più belli del film, anche se la famosa visione di Beatrice che mangia il cuore di Dante personalmente mi è sembrata assumere toni troppo insistiti sull’orrore e il pianto, anziché sulla passione. Convincente anche l’altro momento sentimentale di Dante: l’amicizia con Guido Cavalcanti (un buon Romano Reggiani) e il dolore per aver partecipato alla sua cacciata da Firenze.
Insomma, anche raccogliendo opinioni a caldo dopo alcune proiezioni a cui i ragazzi dello Jacopone hanno potuto partecipare, è risultato che ciò che più è piaciuto ed è rimasto nella mente è il Dante uomo, fragile, timido, amico sincero, uomo fiero per la sua scelta di non piegarsi al potere e allo stesso tempo pieno di dolore per la brutalità e ingratitudine nei suoi confronti da parte di Firenze. In senso realistico e umano anche altri aspetti della biografia dantesca, come la guerra, le relazioni passionali con le donne incontrate, la durezza della vita alla fine del medioevo e a ridosso della peste nera. Un taglio vivo , realistico e umano che l’ultima scena, ripeto, a mio avviso un po’ troppo celebrativa, non riesce ad intaccare.
Un film serio e delicato allo stesso tempo, ultimo lavoro d’autore di un regista che con Todi e il Medioevo ha già intrattenuto dei felici trascorsi. E il film è un film d’autore, in cui il regista di fronte ad una sfida per niente facile ha saputo trovare un taglio che può essere quello più vicino a tutti, esaltando l’amore, la passione, il dolore. E sono sicuro che è proprio questo, alla fine, che ci piace di Dante, è questo che può ancora renderlo un uomo, più che un genio letterario, che sappia parlare ai nostri tempi, in cui spesso la passione, l’amore, il dolore vengono distorti, banalizzati o dati in pasto ad occhi avidi e colmi di superficialità. Da vedere assolutamente.
Lascia un commento