TODI- Dal 1 al 9 ottobre la città ha ospitato le numerose mostre allestite per il Festival dedicato alla fotografia: “Todimmagina”. In questa terza edizione il tema centrale, come si può intuire dal titolo “Fotografia e/è cinema”, è stato il rapporto tra la settima arte e la fotografia e come quest’ultima, pur dando vita al cinema, tragga da esso una continua ispirazione (che è, però, reciproca).
Durante la visita alla mostra allestita alla “Sala delle Pietre”, a cui la mia classe si è recata durante l’ora di storia dell’arte, è stato possibile fare la conoscenza di Marcello Mencarini, direttore artistico dell’evento oltre che fotogiornalista e ritrattista italiano. Grazie alla sua disponibilità e competenza nel campo della fotografia è stato possibile realizzare quest’intervista, la quale tratta i vari aspetti dell’arte dell’immagine e si apre con una citazione del fotografo italiano Angelo Novi, estrapolata da un filmato trasmesso all’interno della mostra: “…Il riuscire a fermare qualcosa che sta scomparendo. Poter dire “questa emozione l’abbiamo fermata”. È tutto lì (il bello della fotografia)”.
La fotografia – ci dice Mencarini – può fare tante cose, può servire a tante cose, anche a ricordare, e questo è uno degli aspetti più interessanti; anche se ciò che mi interessa di più è come la fotografia, in particolare quella giornalistica, riesca a raccontare qualcosa a qualcuno che non c’è. Ciò che poi rimane di grande importanza di quelle fotografie, è che, passato il momento immortalato, diventano anche memoria, ma non solo. Esse infatti, raccontando, possono diventare anche un mezzo per criticare: un esempio classico è quello del fotogiornalista incaricato di scrivere uno “special” su uno spettacolo o un film. Egli deve esercitare il suo senso critico, esprimere un’opinione.
Vorrei soffermarmi su quest’ultimo aspetto della fotografia come mezzo di critica. Nella mostra una parte è dedicata alle foto scattate sul red carpet in occasione del festival del cinema di Venezia e ci veniva spiegato come ogni elemento di quelle foto fosse calcolato in funzione di un ritorno economico. Dov’è qui il confine tra giornalismo critico, quindi libero, e pura finzione economica?
La comunicazione oggi è pubblicità, è promozione, e quindi, perché questa non dovrebbe sfruttare veicoli come le celebrità? Forse no, se volessimo fare i puri. In fondo il testimonial è proprio questo: si utilizza la notorietà di un certo personaggio per vendere un prodotto che, se si è un po’ sprovveduti, si tende a voler acquistare proprio perché promosso da quella celebrità. Per quanto riguarda il red carpet, quello che accade oggi è che il fotografo, a differenza del passato in cui era pagato da un giornale o da un’agenzia, è ingaggiato e pagato dalle grandi case di moda e ha quindi l’interesse al fotografare al meglio il vestito o l’accessorio della casa di moda da cui viene pagato. Queste fotografie, quindi, prima di essere pubblicate, passano spesso per le mani di queste griffe. Si capisce che così il giornalismo salta, il diritto di opinione salta. Lo stesso accade per gli articoli che parlano di cinema e di film, che stanno diventando sempre più spesso un mezzo unicamente di promozione e non di critica. Per questo sono per la maggior parte anticipazioni delle uscite e non recensioni o critiche a posteriori. Credo quindi che sarebbe importante educare le nuove generazioni a leggere le immagini.
E come si legge un’immagine secondo lei?
Nessuno oggi ci dà i criteri per riconoscere un’immagine falsa da una vera, è molto difficile stabilirli. Sarebbe importante che la scuola insegnasse quelli che sono i rischi della fotografia, sia come autori, sia come fruitori. C’è una grandissima quantità di rischi a cui si può andare incontro quando si fotografa. La maggior parte delle persone non sa nemmeno che per pubblicare l’immagine con o di un’altra persona serve il permesso scritto o registrato di questa. Certo, ci sono tante cose che potrebbero essere insegnate meglio, ma attenzione, con le immagini ormai abbiamo a che fare tutti i giorni.
Collegata a questo aspetto critico della fotografia, c’è sicuramente una domanda che mi interessa porre e che riguarda proprio il rapporto tra opinioni, dunque visioni soggettive del giornalista, e narrazione dei fatti. Qual è secondo lei il giusto rapporto tra questi due elementi? Credo infatti, sia un aspetto fondamentale soprattutto nel fotogiornalismo, in cui è necessario che le opinioni del fotoreporter non vadano ad alterare i fatti. D’altro canto non so quanto sia possibile, e giusto, cercare di oggettivizzarli.
Impossibile. Lo è anche se sei onesto. Spesso infatti si evidenziano certe cose per raccontare meglio un certo aspetto. Ciò accade per i fotoreportage, anche di guerra. Io fortunatamente sono stato poche volte in paesi dove era in atto il conflitto, ma ho visto fare tanti di quei falsi. Poi, spesso, non sono falsi gravi: se io ad esempio riprendo un soldato che fa finta di sparare, e quello stesso soldato ha sparato un attimo prima, faccio ciò per aiutare la comunicazione. Questo è ovviamente il limite quando si parla di fotogiornalisti che fanno il proprio lavoro in modo onesto.
Da questa analisi è evidente la centralità del contenuto di una fotografia e soprattutto il modo in cui il suo autore decide di trasmetterla. Questo è sicuramente un discorso molto più generale che non riguarda solo il fotoreportage, ma qualsiasi forma di fotografia. Il punto di vista cambia sempre il messaggio.
La fotografia non deve essere una competizione sportiva e il merito deve venire da ciò che si racconta. Sarebbe come giudicare uno scrittore esclusivamente dal suo virtuosismo. Il grande fotografo è per me quello che ti racconta qualcosa e lo fa dando un certo taglio all’immagine, un taglio personale. Se così non fosse, la fotografia potrebbe tranquillamente passare nelle mani di macchine automatiche: immaginiamo di poter avere un gran numero di videocamere di sorveglianza su un punto di interesse. In questo caso avremmo a disposizione un numero enorme di fotografie, ma, anche qui, servirà sempre un fotografo, un autore, un essere pensante, che ne scelga una seguendo quello che è il suo personale punto di vista. La macchina fotografica è un mezzo, ma è la persona che la utilizza a scegliere soggetto e inquadratura. Questo elemento è stato evidenziato con la diffusione di mezzi per fotografare come il cellulare, mentre i social, hanno dato la possibilità a tutti di essere creativi e di mostrare il loro proprio di vista sotto diversi aspetti.
Per concludere volevo chiederle se c’è qualcosa in particolare che le farebbe piacere dire agli studenti che leggono il giornale del Liceo.
Io, più che agli studenti, vorrei rivolgermi agli insegnanti: forse è il caso di dedicare, durante le lezioni, del tempo per analizzare le immagini di oggi, la pubblicità e la fotografia, che spesso coincidono. Trovo abbastanza assurdo il fatto che noi siamo circondati da fotografie, ne scattiamo una grandissima quantità, senza che nessuno ci racconti come funziona questo mercato e qual è l’etica delle immagini.
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