Ormai è luogo comune dire che i giovani sono inetti, bulli, spenti e, molto spesso, commentando il comportamento di molti di essi (forse in modo un po’ troppo semplicistico), si afferma che i ragazzi di oggi non hanno più valori, non hanno nessun interesse al di fuori del divertimento. Si dice, comunemente, che i giovani di oggi non amano la cultura: leggono poco (o niente), evitano romanzi di un certo impegno. Si aggiunge, con malcelato disprezzo, che preferiscono il “nozionismo” di internet a qualsiasi altro tipo di approfondimento.
“I giovani non sono una garanzia per il futuro, sono svogliati e pigri. I ragazzi non sono più quelli di una volta”, “Una generazione vuota di ideali, di punti di riferimento, di tradizioni e privi di valori”: ecco i ritornelli che tutti, giovani di ieri e di oggi, hanno sentito e sentono recitare da chi era ed è più adulto o già anziano. Si dice che i “nuovi giovani” siano distaccati e non riconoscano più il senso autentico della vita. Questi sono oppressi da un tormentato nichilismo e nulla, per loro, è importante.
Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, indica come antidoto al nichilismo, il male della nostra società, solamente la cultura. Ancora più della cultura è necessario che i giovani riscoprano loro stessi.
La cultura, come la conosciamo, racchiude un vasto ambito: abbraccia l’insieme dell’arte, della storia, della musica e il sapere nella sua interezza. Oggi – ma questo processo è in atto da qualche tempo ormai – il sistema culturale è in crisi, forse anche a causa del massiccio sviluppo delle tecnologie che non incentivano di certo la lettura di un buon libro o la visita di un museo.
Nell’antica Grecia, tutto era cultura e le città che ruotavano attorno ad Atene si nutrivano di ciò che la “casa-madre” forniva: orazioni, trattati filosofici, trattati scientifici, poesie e molto altro. Ma qual è il ruolo nella società di oggi? E quali sono i punti di riferimento culturali soprattutto per le nuove generazioni?
In un articolo apparso sul Corriere della Sera, Claudio Magris scriveva che “l’ultima malattia epocale in ordine di tempo sembra essere l’Alzheimer, che — come le precedenti — è all’ordine del giorno con inchieste, statistiche, testimonianze, proposte e tante confusioni relative all’età, ai sintomi, ai rimedi. Al pari delle grandi malattie del passato, pure l’Alzheimer investe il senso della vita, del tempo, dell’amore, come ad esempio nell’ultimo romanzo di Yehoshua, “Il tunnel”. Ma accanto all’Alzheimer individuale o generazionale esiste pure un Alzheimer culturale, sempre più diffuso; una vera malattia mortale per la vita, la società, la politica, l’intelligenza”. E aggiungeva: “si tratta di un vero Alzheimer culturale collettivo, che spappola non solo e non tanto la cultura, quale conoscenza della Storia o delle varie arti e scienze, bensì la conoscenza del presente che si vive. Non sapere chi sia Craxi, Hitler o Stalin non è tanto crassa ignoranza — come chi non sapesse chi sono Traiano o Caravaggio — ma è ignoranza, incoscienza, inconsapevolezza del proprio presente e dunque totale, sprovveduta impossibilità di viverlo e di affrontarlo”.
La gente quindi, non solo ignora la storia o la cultura in sé ma è, a causa di ciò, incapace di affrontare e vivere il presente. In questo quadro, i giovani percepiscono un elevato senso di smarrimento, anche perché, in confronto alle generazioni passate, scarseggiano punti di riferimento culturali e valoriali. La scuola è in decadenza, ha perso la sua capacità di formare menti pensanti.
A chi allora dovrebbero guardare i giovani? La domanda resta aperta, dal momento che i nuovi idoli degli under 30 sembrano essere personaggi noti sul web, ma che poco sanno di vita reale. Si rischia quindi un abuso della vita social a scapito della realtà quotidiana che va privilegiata in ogni caso. Penso indubbiamente che questo fenomeno caratterizzi estremamente le vite di noi giovani, il nichilismo è un “ospite inquietante”, così come lo definiva anche Friedrich Nietzsche, che irrompe nella nostra sensibilità, depenna prospettive ed orizzonti.
Stimolare il coinvolgimento dei nostri giovani nel sistema culturale non è un fatto secondario, bensì un obiettivo cruciale che dovrebbe rientrare, a tutti gli effetti, fra le priorità di chi ha a cuore le sorti del nostro Paese. In gioco non vi sono benefici derivanti dal “consumo” e dalla “produzione” culturali a livello personale; potenziare il rapporto fra giovani e cultura significa contribuire, in modo concreto e fattivo, alla costruzione di una società migliore, più attiva e consapevole, nonché capace di uno sguardo solido verso l’avvenire.
“Cultura è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno” – Karl Kraus
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