Da 30 anni vivevamo nell’illusione che la paura, l’insicurezza, la violenza fossero finite con il collasso dell’URSS e l’epilogo della guerra fredda, che la globalizzazione e il progresso bastassero a conferire una perenne stabilità alle vicende umane. Un anno fa, all’alba del 24 febbraio 2022, il sogno è dolorosamente svanito nelle parole con cui dal Cremlino Vladimir Putin annunciava l’inizio dell’invasione dell’Ucraina. Eravamo tutti già in classe quando tra noi è iniziata a diffondersi la notizia, accompagnata dai primi video dei missili che avevano colpito Kiev, pochi minuti dopo il discorso del presidente russo. Nei dialoghi con i professori, e anche in quelli tra noi studenti, emergeva chiara la consapevolezza che quella non fosse una notizia come un’altra, eravamo certi di quanto importante e terribile fosse ciò che quella mattina vedevamo accadere in tempo reale sui social. Ma pur avendo colto la storicità dell’evento, nessuno immaginava allora che la guerra che iniziava sarebbe diventata un ampio e sanguinoso conflitto simmetrico, e che dopo un anno e 200 000 morti saremmo stati qui a parlarne ancora più angosciati, senza alcuna soluzione all’orizzonte.
Anche Vladimir Putin inizialmente aveva pianificato una “guerra lampo” e dal Cremlino dava direttamente ordini al suo esercito perché abbandonasse ogni dottrina e precauzione per raggiungere subito Kiev, dove il presidente Zelenskij sarebbe stato facilmente sostituito con un fantoccio controllato da Mosca. Aveva però fatalmente sottovalutato la volontà e il coraggio del popolo ucraino e del suo presidente, che sfidando la morte rifiutò un elicottero statunitense che lo avrebbe portato al sicuro, per guidare da Kiev l’eroica resistenza che in pochi giorni avrebbe distrutto la lunghissima colonna dei mezzi russi e allontanato il fronte dalla capitale, grazie alle prime armi anticarro giunte dall’Occidente e agli efficaci droni turchi venduti dall’ambiguo Erdoğan. Da allora i paesi occidentali, tra cui l’Italia, si sono stretti intorno all’Ucraina e si sono moltiplicati gli aiuti militari e le sanzioni alla Russia. Stupito e sempre più isolato, Putin ha reagito furiosamente bloccando qualsiasi iniziativa dell’ONU, moltiplicando i bombardamenti sui civili e calpestando scelleratamente il tabù atomico, con ripetute escalation di dichiarazioni e di esercitazioni. In questo modo la guerra assume ben presto l’orrenda forma che conosciamo e che conserva tuttora, fatta di trincee, di copioso uso di artiglieria e di sanguinose battaglie per piccoli avanzamenti e per piccole città, come accadeva da noi ai tristi tempi della prima guerra mondiale che pensavamo non si sarebbero più ripetuti. La storia divora oggi pagine che un tempo avrebbe consumato nel giro di molti anni. Nostro malgrado alle lezioni di storia che seguiamo in classe si accompagnano da un anno quelle che il presente ci costringe quotidianamente a vivere, privando i nostri pomeriggi della spensieratezza a cui ormai da generazioni i ragazzi erano abituati. E’ importante riflettere insieme su questi insegnamenti (di seguito riassunti schematicamente) per ricordare, a me stessa innanzitutto, che tutto questo male e questo dolore non sia vano e non si debba ripetere.
1. Le guerre tra grandi nazioni sviluppate sono ancora possibili, anche sotto lo spettro dell’arma nucleare, e sono brutali come le abbiamo sempre conosciute. Ci sono molte lezioni a livello strategico e militare che potremmo cogliere da questa guerra, ma credo che la prima lezione è che questo conflitto è la prova che un contrasto tra potenze alle porte dell’Europa è possibile. La deterrenza nucleare, l’interdipendenza economica, il benessere e l’avanzamento culturale delle popolazioni coinvolte possono non bastare. È la lezione più ovvia e insieme la più dolorosa, ma continuare a vedere le guerre come anacronismi, come in troppi abbiamo fatto per decenni, allontana la pace anziché avvicinarla. La pace non va mai data per scontata.
2. È arrivato il momento per l’UE di rivedere la propria strategia energetica. L’Italia, come gran parte dei paesi europei, importa la quasi totalità del petrolio e soprattutto del gas naturale che consuma. La guerra inevitabilmente ha avuto delle ripercussioni enormi anche su questo fronte. Infatti gran parte del metano che il nostro paese importava proveniva dai gasdotti russi, ma ora, con il conflitto e le sanzioni, le forniture hanno subìto un pesante ridimensionamento con un conseguente aumento dei prezzi e una crisi energetica senza precedenti. Chi ne paga le conseguenze sono le famiglie più povere e migliaia di imprese che rischiano di chiudere, rallentando ancora di più la ripresa economica. Quello che abbiamo attraversato questo inverno, ormai quasi giunto al termine, ci insegna che abbiamo completamente sbagliato la nostra politica energetica e che occorrono soluzioni di medio-lungo termine. Abbiamo imparato sulla nostra pelle che non si può dipendere unicamente da uno stato tanto potente: se i paesi europei non vogliono trovarsi ancora una volta in questo gioco di minacce e ricatti devono al più presto diversificare le proprie fonti energetiche e i propri fornitori.
3. Taiwan la prossima Ucraina? Sono apparse subito evidenti a tutti le sinistre somiglianze tra la situazione ucraina e quella taiwanese. Dal 24 febbraio 2022 sappiamo che un’altra guerra, ancora più terribile, può scoppiare da un momento all’altro tra Cina e Taiwan, affiancata – stavolta direttamente – da Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, forse da Australia e India. La piccola e fragile isola di Formosa, densamente popolata, sarebbe devastata e la guerra potrebbe traboccare nei paesi vicini, vedere l’utilizzo di armi nucleari. Quanto accaduto in Ucraina ci insegna che la situazione può imprevedibilmente precipitare da un momento all’altro: dobbiamo tutti impegnarci e agire fin da subito perché la tensione si abbassi e si trovino compromessi per una convivenza pacifica.
4. L’impotenza dell’Onu. L’utopia dell’Onu che riesce a garantire la pace nel mondo è definitivamente tramontata. L’Onu in questi mesi si è rivelato impotente, non ha potuto fare nulla per fermare la guerra. Il meccanismo del diritto di veto riservato ai cinque stati membri permanenti (Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) paralizza il Consiglio di sicurezza. L’Onu non può infatti inviare i caschi blu fintanto che la Russia continui a farne parte e la Cina ad astenersi. Ma quindi l’Onu è inutile? Proprio in questi giorni l’Onu si sta in realtà rivelando un mediatore fondamentale per il rinnovo dell’accordo sul grano tra Ucraina, Russia e Turchia, importantissimo soprattutto per i paesi in via di sviluppo perché consente a decine di milioni di persone di mangiare e riduce il costo globale del cibo. Quindi no, l’Onu non è inutile e va preservato. Serve però un cambiamento se si vuole garantire la pace, e serve in fretta.
5. La cultura, un’arma potente. Nella ferma condanna dell’aggressione, dobbiamo combattere la demonizzazione di un popolo, di una cultura e di una lingua che non sono colpevoli. Dopo lo scoppio della guerra sono stati molti gli artisti e le compagnie teatrali russe che da un giorno all’altro si sono visti annullare spettacoli, tour ed esibizioni. La stessa cosa è addirittura successa al professore Paolo Nori, che ha raccontato in lacrime come una università italiana avesse cancellato dal programma un suo ciclo di lezioni su Dostoevskij. Questa tendenza a censurare porta tuttavia alla peggiore delle conseguenze: permette alla guerra di fermare la cultura. E in questo momento proprio la cultura è uno degli strumenti più preziosi che ci rimangono, perché unisce, supera i confini ed è fondamentale per ricreare le condizioni di pace.
6. La battaglia delle immagini e dei meme. Questa è la guerra più mediatica di sempre, in cui il racconto dell’invasione avviene in tempo reale attraverso i social. Questo perché oggi il modo più efficace per diffondere velocemente informazioni e fare propaganda in tempo di guerra è attraverso Twitter, Facebook, Telegram, Instagram. Gli ucraini l’hanno compreso molto bene, e Zelensky parla spesso tramite videomessaggi. Ma anche i russi lo sanno. Putin, da par suo, ha oscurato i social in modo che in Russia passi un’unica verità: quella del Cremlino e delle tv di stato. Oltre ai milioni di foto e video con cui la popolazione civile e gli stessi soldati hanno documentato ogni fase della guerra, per la prima volta la rete è stata invasa da valanghe di vignette, “meme” nel gergo dei social, per schernire il nemico e compattare il fronte alleato.
7. Il valore della libertà. Le vicende ucraine ricordano alle nostre coscienze che la libertà non deve essere sottostimata e che un popolo che desidera la libertà può essere inarrestabile. Dopo secoli sotto il tallone delle tirannie russe succedutesi dai tempi di Caterina la Grande, gli ucraini sono disposti a morire per la democrazia, un ordinamento politico che qualcuno in Occidente ormai era arrivato a criticare apertamente. Ci siamo abituati, spesso la diamo per scontata, ma la forza, il coraggio e la resistenza dimostrati dal popolo ucraino in questa guerra dovrebbero farci riflettere sul valore della libertà. E la democrazia, per quanto imperfetta, è l’unica forma di governo che la può garantire.
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