BRACCIO FORTEBRACCIO: UN NOME, UN PRESAGIO, LA LEGGENDA DI UN GUERRIERO

Immagine tratta da "Pixabay"
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TODI – Figura interessante, quanto peculiare, quella di Andrea “Braccio” Fortebraccio da Montone (1368-1424) è una delle più conosciute e rinomate della Storia. Grande condottiero del Cuore verde d’Italia e protagonista di imprese belliche dell’Umbria del Trecento che coinvolsero anche la nostra Todi, Braccio Fortebraccio (nato Andrea) nacque nei pressi dell’odierno capoluogo umbro in un periodo tutto fuorché stabile del Medioevo, nella possidente famiglia dei Fortebraccio, celebre famiglia umbra (nella leggenda discendente da un’altra abbiente famiglia cartaginese). Il suo rappresentante più facoltoso anzidetto, Andrea, crebbe a Perugia in un periodo dominato dalla fazione dei Raspanti (banchieri-mercanti sostenitori dello status quo comunale), contrapposta a quella dei Beccherini (sostenitori della nobiltà signorile); bisogna notare, inoltre, che l’Umbria della sua epoca (come in generale tutta la nostra penisola) venne “spartita” tra gli antichi pretendenti e governata dalle famiglie più facoltose di ogni comune (come i Trinci di Foligno e gli Atti di Todi).

A seguito dei tumulti tra le due fazioni di cui sopra (Raspanti e Beccherini), Braccio subì l’esilio e militò in varie fazioni dell’Italia centrale, cercando comunque di rientrare nella città natìa. Dopo essersi procurato cavalli ed armi, combatté contro Muzio Sforza a Todi e ottenne una grande fama in tutta l’Umbria. Malgrado il vano tentativo di instaurare una signoria che sottomettesse i territori che vanno dal Tuderte alla città di Deruta, riuscì ad amicarsi e a divenire cliente di una donna del territorio di Ripabianca, Matteuccia da Todi (giudicata come strega dal Tribunale dei Malefici), nota anche come strega di Ripabianca. La sentenza di condanna verso la donna è tutt’ora esistente e conservata nell’archivio comunale.

Braccio, condottiero dei Beccherini e capitano di ventura, si trovò costretto così a sconfiggere alcuni dei suoi molteplici rivali per ottenere la signoria perugina. Si dedicò, nel periodo in cui egli fu signore di Perugia (dal 1416 al 1424), all’abbellimento dei suoi possedimenti permanenti e momentanei. Durante il suo “governo” venne altresì inizializzata la costruzione della loggia della cattedrale di Perugia. In qualità di signore di Todi, fece ricostruire e, laddove possibile, modernizzare interamente la conosciutissima rocca.

Particolare del centro tuderte, protagonista di marce e scontri da parte di Braccio da Montone.

Sconfitto a L’Aquila nel 1424, morì sul posto a causa di una grave ferita. Soltanto alcuni anni dopo, le sue spoglie vennero trasportate in una chiesa del capoluogo umbro e ancora oggi i suoi resti sono contenuti in un’urna della chiesa di S. Francesco al Prato, nel complesso monastico francescano di Perugia.

Stando ad alcune fonti, Braccio non ebbe una grande mania per l’egocentrismo – al contrario si faceva chiamare semplicemente “Sor Braccio” – eppure sconfisse sulla piana tuderte uno dei più valorosi Sforza. Al giorno d’oggi, il nome di Braccio figura in numerose citazioni, tra cui quella di un patriota italiano originario di Perugia, Ariodante Fabretti (1816-1894), la seguente: Or che rimane di Braccio all’Italia? una fama romorosa per tanti combattimenti, bella per tante virtù politiche e militari, sudicia per qualche delitto! Di Braccio rimangono a Perugia fabbriche utilissime ai cittadini: le rimane la gloria di essere stata grande, temuta, riverita, e la memoria di aver generato, perseguitato, idolatrato uno se’ più forti capitani d’Italia. Di Braccio restan pure alla patria poche ossa ed un teschio per impeto di sasso o di ferro sul destro parietale forato.

N.B. L’immagine principale (e non quella inserita nel corpo dell’articolo) è tratta dal sito “Pixabay”.

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