Il sol dell’avvenire è l’ultima pellicola del celebre regista romano Nanni Moretti, quattordicesima della sua impeccabile filmografia uscita nelle sale il 20 Aprile e rappresenterà l’Italia in occasione del settantaseiesimo festival di Cannes.
Dopo Tre Piani (2021), primo caso in cui il regista si è cimentato in un soggetto non suo, Nanni Moretti torna a fare un film alla Nanni Moretti. Questo film è stato acclamato dalla critica come una summa del cinema di Moretti, un film in cui non manca un ampio sguardo al passato ma che guarda anche al futuro con sguardo ironico, scettico e in alcuni momenti anche sereno e romantico.
Il sol dell’avvenire è una pellicola “meta-filmica” di impianto pirandelliano (come in “Sei Personaggi in cerca d’autore”): un autentico film nel film, denso di riferimenti e citazioni letterarie, cinematografiche e canore.
La storia principale vede come protagonista Giovanni (Nanni Moretti), un regista che sta girando un film ambientato nel 1956 il cui protagonista è Ennio (Silvio Orlando), segretario di una sezione del PCI della periferia romana che assieme alla sua compagna Vera (Barbara Bobulova), dopo aver invitato nel suo quartiere il circo ungherese Budavari, si ritrova alle prese con una serie di questioni morali e politiche molto delicate. Infatti subito dopo l’arrivo del circo a Roma, proprio in Ungheria scoppia la nota rivolta popolare del 1956 (i cosiddetti “fatti d’Ungheria) contro il regime sovietico e Ennio è indeciso su quale posizione prendere a nome della sezione del PCI, mentre Vera accoglie subito come giuste le proteste degli Ungheresi.
Lo spettatore si trova a seguire parallelamente due storie: quella di Ennio tormentato dalle questioni etiche e politiche suddette e quella di Giovanni che, durante la regia del suo film, si trova di fronte a vicissitudini sentimentali ed economiche, riflette sul presente e realizza, ma solo nella sua testa, il suo vero sogno registico, un film in cui il tema sostanziale sia non politico ma bensì amoroso: un film sui cinquant’anni di vita di una coppia raccontati attraverso il commento musicale di grandi brani del cantautorato italiano, da Luigi Tenco a Franco Battiato fino a Fabrizio De Andrè.
Tanti, forse anche troppi, i temi che il film di Moretti affronta. Tra gli altri (l’amore, la funzione del cinema nella società attuale, la riflessione politica ecc…) si impone una critica generalizzata al presente, ai nostri tempi: tempi in cui sembra non potersi trovare più alcuno spazio per l’arte, in quanto annichilita dalla violenza che campeggia incontrastata in tutte le sue forme e che per giunta appare soltanto fine a sé stessa. Il nostro, secondo Moretti, è un presente privo di valori morali saldi e condivisibile, e l’immoralità imperversa nel cinema e in qualunque altra forma d’arte contemporanea. E per questo, nei panni del suo personaggio regista alter ego Giovanni, Moretti propone il confronto con l’arte antica, con i classici, arrivando a chiamare in causa direttamente Shakespeare e Dostoevskij, artisti veri in cui le scene di battaglie o di abusi sono presenti, certamente, e spesso con allucinante intensità, ma sono finalizzate costantemente ad un insegnamento tipo morale, sono in sostanza finalizzate a rendere presente un bene più grande.
Anche la critica all’arte tout-cour, quindi, tra i temi più impegnativi di questa complessa e profonda pellicola.
Questa aspra condanna al decadimento del cinema è particolarmente enfatizzata nella scena in cui Giovanni interrompe per varie ore le riprese di un altro film, non suo, laddove questo utilizza, a suo modo di vedere, la violenza in una forma esaltata, sbagliata. Aspro e perentorio il suo monito: ”Tutti quanti, registi, produttori, sceneggiatori, sono preda di un incantesimo. Un giorno vi sveglierete e piangerete, rendendovi conto di ciò che avete combinato.“
In un’altra scena ancora, forse tra le più efficaci nel senso della critica alla cinematografia di oggi, Giovanni si scontra con alcuni rappresentanti di Netflix con cui dovrebbe collaborare, e lì parte la critica ai parametri di natura prettamente commerciale che il colosso dello streaming impone ai suoi registi, limitandone inevitabilmente la libertà creativa e uccidendone l’efficacia comunicativa.
Tanto, tanto altro ancora ne Il sol dell’avvenire, un film che sicuramente apparirà gustoso ai fans più incrollabili di Moretti, data la serie di numerosissime sue autocitazioni registiche.
Senza entrare in altri dettagli o spoiler, direi che, nel complesso caleidoscopio tematico che Il sol dell’avvenire imbastisce, in cui a tratti lo spettatore rischia di perdersi, emerge nel fondo, alla fine del film, una sorta di retrogusto amaro: quante cose sbagliano gli uomini – politici, gli intellettuali – artisti, gli uomini -solo uomini- nelle loro relazioni amorose (anche sotto questo punto di vista Giovanni subisce uno scacco). Certo sarebbe bello cambiare il passato per migliorare il presente. Ma non è possibile, purtroppo. E la frase utopistica che campeggia sullo schermo alla fine del film ne è un’amara e ironica affermazione.
Un film d’autore, assolutamente. Da non perdere.
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