Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Don Lorenzo Milani: sacerdote ed educatore, testimoniò Dio Padre, vivendo secondo il Vangelo, anche attraverso l’opera di educazione che fu chiamato ad intraprendere.
Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti nacque il 27 maggio 1923 a Firenze da Alice Weiss e Albano Milani Comparetti. Lorenzo crebbe insieme a suo fratello Adriano e sua sorella Elena in condizioni agiate e in un contesto intellettualmente vivace: la madre Alice, infatti, era figlia di ebrei boemi che si erano trasferiti a Trieste per lavoro e fu allieva di James Joyce, il padre Albano proveniva da una famiglia di studiosi. I genitori si dichiaravano entrambi agnostici, quindi Lorenzo si formò in un ambiente laico. Nel 1930, per la crisi economica, Lorenzo e la sua famiglia si trasferirono a Milano, dove, a motivo del diffondersi dell’antisemitismo, i genitori di Lorenzo richiesero, per cautela, il Matrimonio cattolico e decisero di far battezzare i figli. Dopo essersi diplomato, Lorenzo iniziò a prendere lezioni di pittura e poi si iscrisse all’Accademia di Brera: l’esperienza suscitò in lui l’interesse per l’arte sacra e la liturgia. Nel 1943, dopo “vent’anni passati nelle tenebre”, come Lorenzo stesso dirà, si convertì e comprese di essere chiamato al Sacerdozio, quindi il 9 novembre entrò in Seminario. Il 13 luglio 1947 ricevette il Sacramento dell’Ordine nel duomo di Firenze e gli fu affidato il compito di aiutare il parroco di Montespertoli, nei pressi di Firenze. In seguito fu mandato a San Donato di Calenzano, vicino Firenze, dove conobbe la povertà di tante famiglie, nonché la mancanza di cristianizzazione. Capì che il compito di risolvere questa situazione faceva parte del suo ministero, quindi istituì una scuola serale per i giovani a cui l’istruzione era negata a motivo delle umili origini. Don Milani, infatti, considerava l’istruzione funzionale all’evangelizzazione, pertanto proseguì la sua opera di testimonianza cristiana nonostante le critiche che gli vennero mosse sia dall’ambiente civile, sia da parte dell’ambiente ecclesiastico. Proprio per questo, nel 1954 fu inviato in esilio a Barbiana, un piccolo e sperduto centro di montagna, dove conobbe condizioni di povertà assoluta, legata in particolare all’emarginazione sociale: qui si impegnò nella fondazione di una scuola aperta a tutti, rivolta soprattutto ai giovani che, per motivi economici, non potevano accedere all’istruzione. L’obiettivo di don Milani era quello di fornire a tutti i mezzi per esprimersi, ossia garantire a tutti il raggiungimento di un livello di istruzione minimo e necessario a vivere nella società. L’opera educativa di don Milani faceva riferimento al principio per cui si impara non per “avere” delle conoscenze, ma per essere, cioè per comportarsi meglio sulla base delle conoscenze acquisite e per aiutare il prossimo. Nella Scuola di Barbiana gli studenti più grandi diventavano insegnanti di quelli più piccoli: si ricorreva a questo metodo sia per ragioni pedagogiche, infatti si impara meglio quando si è consapevoli che si devono insegnare ad altri gli argomenti appresi, sia a motivo della mancanza di docenti. In questo approccio educativo si può ritrovare il motto I care scelto da don Milani per la Scuola di Barbiana.
Don Lorenzo Milani scrisse anche molte opere, tra cui “Esperienze pastorali”, “L’obbedienza non è più una virtù” (1965) e “Lettera a una professoressa” (1967), opera fra le più note e che è stata presa come riferimento dai movimenti studenteschi del 1968. In “Esperienze pastorali”, iniziato durante gli anni a San Donato di Calenzano, don Milani parla di riforme che saranno realizzate dal Concilio Vaticano II. Le altre due opere furono scritte entrambe negli anni di Barbiana dal parroco e dagli alunni secondo il metodo di scrittura collettiva. Con “L’obbedienza non è più una virtù” don Milani tratta insieme agli studenti i temi della pace, della disobbedienza civile e dell’importanza della coscienza. In “Lettera a una professoressa”, il parroco, insieme agli alunni, denuncia la discriminazione sociale operata dalla scuola e individua la conoscenza come un mezzo che i poveri possono usare per riacquisire la dignità perduta.
Sebbene fosse criticato dalle istituzioni ecclesiastiche, don Lorenzo Milani mantenne sempre il suo amore per la Chiesa. Negli ultimi anni fu riabilitato, tantoché Papa Giovanni XXIII e Papa Paolo VI sostennero economicamente le cure mediche per lui.
Nell’ultimo periodo don Milani si ammalò di tumore e decise di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita terrena insieme ai parrocchiani che gli erano stati affidati e di cui si prese cura fino all’ultimo; nel giorno dell’agonia, disse agli studenti: «Io potrei permettermi, attraverso mia madre, gli infermieri migliori di Firenze ma voglio che ci siate voi qui accanto a me perché voglio insegnarvi a capire come muore un cristiano».
Papa Francesco, riferendosi a don Lorenzo Milani, ha così dichiarato «La sua inquietudine, però, non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che talvolta veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un “ospedale da campo” per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati».
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