Cinquanta anni fa, l’Italia attraversava un periodo di profondi cambiamenti sociali e culturali, e uno dei temi più divisivi, controversi e dibattuti fu quello del divorzio. Il 12 maggio del 1974, i cittadini italiani vennero chiamati ad esprimersi, mediante l’istituto referendario, su una questione cruciale, e cioè l’abrogazione della legge sul divorzio introdotta nel nostro ordinamento giuridico nel 1970. Per comprendere appieno l’importanza di quel giorno, è necessario fare un viaggio nel tempo e ripercorrere la storia della legge sul divorzio nel nostro Paese.
La questione del divorzio in Italia iniziò ad essere affrontata durante il dominio napoleonico, periodo in cui lo stesso comandante introdusse in tutta Europa una forma moderna di Codice civile ideata da lui.
L’esigenza di regolamentare lo scioglimento del matrimonio fu sentita già agli inizi del 19° secolo, quando nel Regno d’Italia Napoleonico venne emanato un codice civile (Il Code Napoléon) nel quale era previsto l’istituto giuridico del divorzio. Le possibilità di applicare la normativa erano tuttavia veramente ristrette; basti pensare che i coniugi per sciogliere il matrimonio avevano necessità dell’approvazione dei genitori e dei nonni.
Nel 1902, il Governo di Giuseppe Zanardelli elaborò un progetto di legge che consentiva il divorzio in alcuni specifici casi, quali adulterio, lesioni al coniuge, ma anche condanne gravi. Il progetto tuttavia non divenne mai legge, anche per la forte opposizione della Chiesa e dei conservatori, e per i trent’anni successivi la problematica non venne più affrontata. La Prima guerra mondiale congelò ogni sorta di dibattito legislativo e le possibilità che il diritto al divorzio fosse approvato si ridussero ulteriormente con il governo di Mussolini, che, con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, portò un’ulteriore spinta conservatrice al nostro Paese.
Gli anni ’60 furono un periodo di fervente dibattito sulla questione del divorzio in Italia. La legge del 1948, che aveva istituito il matrimonio come unione indissolubile, era diventata sempre più anacronistica di fronte alle trasformazioni sociali e culturali del paese. La richiesta di riforma del sistema matrimoniale italiano guadagnò sempre più sostenitori, specialmente tra gli intellettuali, i movimenti femministi e le organizzazioni progressiste.
Il primo Dicembre del 1970, dopo anni di dibattiti parlamentari e pressioni da parte della società civile, il Parlamento italiano approvò la legge sul divorzio, nota come Legge Fortuna-Baslini (Loris Fortuna fu il deputato socialista che presentò alla Camera il progetto di Legge) o Legge 898/1970. Questa legge rappresentò un compromesso tra le forze progressiste e conservatrici della politica italiana. Pur permettendo il divorzio solo in casi specifici, come l’adulterio, la violenza domestica o la separazione legale per almeno cinque anni, rappresentava comunque un significativo passo avanti verso la modernizzazione delle istituzioni familiari.
Tuttavia, l’approvazione della legge sul divorzio non pose fine alle controversie. La Chiesa cattolica e una parte della società italiana conservatrice la avversarono apertamente, sostenendo che minasse i valori tradizionali della famiglia e la stabilità sociale. Le massicce contestazioni e la ferma opposizione portarono alla indizione del referendum abrogativo che ebbe luogo il 12-13 maggio 1974.
Le campagne referendarie furono animate e coinvolsero l’intera nazione. Da un lato, c’erano coloro che difendevano la legge sul divorzio come un importante passo verso la modernizzazione e l’indipendenza individuale, dall’altro c’erano gli oppositori che invocavano la sacralità del matrimonio e la protezione della famiglia tradizionale.
Il giorno del referendum, il verdetto fu chiaro: il 59% dei votanti si espresse contro l’abrogazione della legge sul divorzio, confermando così il sostegno della maggioranza dei cittadini alla sua permanenza. La vittoria dei “NO” rappresentò un punto di svolta nella storia italiana, segnando il trionfo dei principi di libertà individuale e autodeterminazione sulla tradizione e il conservatorismo.
Negli anni successivi, la legge sul divorzio ha subito diverse modifiche per renderla più accessibile e adattarla alle esigenze della società moderna. Le procedure di divorzio sono divenute via via più rapide e semplificate, consentendo ai cittadini di esercitare il loro diritto di scegliere liberamente il proprio destino coniugale.
Da ultimo, ad esempio, con la c.d. riforma “Cartabia” si è previsto che la domanda volta ad ottenere il divorzio consensuale può proporsi simultaneamente alla richiesta di separazione, e diventerà procedibile non appena decorsi i termini necessari (6 mesi dalla separazione), senza necessità quindi che i coniugi siano costretti a proporre una nuova e separata domanda, con evidente risparmio di tempo e di costi.
Oltre alle modifiche legislative, va sottolineato il ruolo delle organizzazioni femminili e dei movimenti per i diritti civili nell’orientare l’opinione pubblica verso una maggiore accettazione del divorzio come una scelta legittima e rispettabile. Questi gruppi hanno combattuto per anni per porre fine alla discriminazione di genere nei confronti delle donne divorziate, difendendo il loro diritto a una vita indipendente e autonoma.
A cinquant’anni dalla vittoria dei “NO” al Referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio, l’Italia può guardare indietro con orgoglio sui progressi compiuti nel campo dei diritti individuali e della giustizia familiare. La legge sul divorzio è diventata una pietra angolare del sistema giuridico italiano, garantendo ai cittadini il diritto di vivere la propria vita matrimoniale in conformità con i propri valori e le proprie aspirazioni personali.
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