QUANDO L’AGRICOLTURA SI COLORA DI BLU

Un uomo chino sulla terra appena arata, la pelle arsa dall’inclemenza del sole, annusa il profumo del tramonto abbracciando con lo sguardo un orizzonte carico di speranza. Le spalle stanche, si perde nei suoi pensieri e immagina, spera, che quella terra, che è principio di vita, esploderà di verde di lì a qualche mese. Pensa che la sua vita e quella del grano che germoglierà corrono su due binari paralleli. Quella terra sarà messa a dura prova dalle intemperie, ma resisterà e darà i suoi frutti, così come l’uomo affronterà le tempeste della vita e ne uscirà vincitore.

Riferendosi all’agricoltura e al mondo contadino lo scrittore russo Lev Tolstoj sosteneva che “Solo col lavoro agricolo può aversi una vita razionale, morale. L’agricoltura indica cos’è più e cos’è meno necessario. Essa guida razionalmente la vita. Bisogna toccare la terra”.

In una società dominata dalla modernità di procedure sempre più sofisticate finalizzate ad una migliore conservazione degli alimenti e al potenziamento di tecniche che incrementano la produzione agricola, con danni irreversibili alla genuinità dei prodotti, nasce un piccolo fiore blu.

Nom de plume dell’agricoltura conservativa, l’agricoltura blu, già diffusa da anni in America, nasce con un obiettivo ambizioso: promuovere una produzione agricola di qualità, prevenendo il degrado del terreno, i fenomeni di erosione e la tirannia delle erbe infestanti, migliorandone la fertilità. Il terreno non viene arato, la semina è diretta e la lavorazione avviene solo in superficie.
Questo sistema, non applicabile chiaramente in tutti i tipi di terreno, come ad esempio in quelli a struttura argillosa e con climi poco favorevoli o limitanti, negli ultimi decenni ha avuto una diffusione su scala mondiale ed è stato definito come “estremamente innovativo” perché in grado di preservare nel tempo la fertilità del suolo e di favorire la sostenibilità economica dell’attività agricola. L’agricoltura blu si basa su tre principi: la riduzione delle lavorazioni, la copertura costante del terreno e la diversificazione colturale. La struttura del terreno non subisce traumi di particolare rilevanza, in quanto viene lavorata a profondità minime (non superiori a quindici centimetri) e durante la stagione invernale i campi non vengono lasciati in balia delle intemperie, ma vengono coperti da cover crop. Una nuova tecnica, lo strip tillage, permette inoltre di seminare all’interno di bande lavorate. Le conseguenze di queste cure? Sicuramente l’arricchimento della sostanza organica del terreno e non ultimo un maggiore e proficuo lavoro dei lombrichi, indispensabili per mantenerne la struttura, poiché, scavando gallerie al suo interno, permettono all’aria e all’acqua di entrare. L’aspetto più interessante di questo tipo di agricoltura, vista la pericolosità dei fertilizzanti, che condizionano la genuinità dei prodotti e “inquinano” i nostri organismi, è proprio il minore utilizzo degli stessi, così come un uso più misurato degli erbicidi. Più che appropriato quindi il “colore blu”, simbolo dell’acqua e dell’aria, che con questa tecnica inedita vengono salvaguardate.

Maria Elisa Stagnari

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