La sottile linea rossa tra libertà di espressione e sicurezza globale

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Sono passati dieci anni dall’attentato, che in tanti ricordano per i risvolti mediatici, contro la redazione di Charlie Hebdo, celebre testata francese, per mano di Al-Qāʿida. Per chi non lo sapesse, Charlie Hebdo è una testata giornalistica molto controversa, che ha pubblicato diverse vignette, scatenando moltissime polemiche, tra cui quelle inerenti alla religione islamica e a Maometto. 

Non il primo, né l’ultimo. Già, nel 2011 ce ne fu un altro (sempre contro lo stesso giornale), integrato in una serie ben più massiccia di attacchi in Europa, tra cui quello di Londra nel 2005 (che colpì i mezzi pubblici durante la rush hour, l’ora di punta), di Parigi di dieci anni dopo (conosciuto per la sparatoria al Bataclan che provcò 90 morti) e il recentissimo al mercatino di Natale di Magdeburgo, in Germania, nel 2024, per opera di un saudita . Ma quello del 2015 sarebbe stato organizzato per vendicarsi di una vignetta in particolare, pubblicata quattro anni prima, in cui il giornale aveva rinominato se stesso Charia Hebdo, dopo l’incendio doloso della stessa matrice, e aveva raffigurato Maometto con la frase “100 frustate se non muori dalle risate”. 

L’organizzazione terroristica di matrice fondamentalista islamica ha rivendicato l’attentato, mietendo diciassette vittime e undici feriti tra vignettisti come Cabu e Wolinski, agenti di polizia e altri impiegati, oltre al direttore Stéphane Charbonnier, detto Charb, la mattina del 7 gennaio 2015, intorno alle 11. Più celebre la sua frase, “preferisco morire in piedi che morire in ginocchio”, risalente a tre anni prima. 

Le reazioni furono moltissime, molte delle quali rivendicano tuttora la volontà di esprimersi liberamente senza il timore di una ritorsione da parte del mondo islamico, parteggiando per la libertà di espressione, rivendicata tra l’altro dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789. Vi furono anche delle manifestazioni a cui presero parte milioni di persone, tra cui Renzi, Merkel e Cameron. Lo stesso Presidente della Repubblica, François Hollande, dichiarò lo stato di emergenza nel Paese e Papa Francesco, al soglio da quasi due anni, dichiarò diplomaticamente che la libertà di espressione andasse esercitata con responsabilità, comunque attaccando la violenza terroristica. 

Dieci anni dopo, l’attentato a Charlie Hebdo resta una ferita aperta nella memoria collettiva e un punto di svolta nel dibattito sulla libertà di espressione. È inconcepibile come possa essere ancora oggi un problema esprimersi liberamente. La censura è uno strumento che andrebbe lasciato ai regimi, lo sanno tutti. Un colpo non solo ad una redazione giornalistica, ma all’idea stessa che si possa ridere di tutto, senza paura, appunto. Oggi, la satira continua a camminare sul filo del rasoio tra libertà e provocazione, tra coraggio e rischio. Ma se c’è una lezione che il 7 gennaio 2015 ci ha lasciato, è che la libertà non è mai scontata: va difesa ogni giorno, con la penna o con la voce, perché senza di essa il silenzio diventerebbe l’unico linguaggio possibile. E la storia ci ha già insegnato dove porta il silenzio imposto dalla paura.

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