LA BATTAGLIA

Giorno 11 novembre

Ho  perso il conto delle settimane che ho passato in ospedale. È così triste. L’ospedale ha le pareti bianche e spoglie, come le persone che si trovano qui sono spoglie della loro gioia. Tutti i giorni gli infermieri corrono di qua e di là. Ci sono persone che si lamentano per dolori vari e bambini che hanno perso la voglia di giocare e ridere come ogni bambino dovrebbe fare. Spesso mi capita di vedere malati che esalano il loro ultimo respiro e io mi chiedo tra quanto succederà a me, come sarà e cosa proverò. La cosa che mi segnò di più, fu vedere una mamma con in braccio il corpicino esile ed immobile di suo figlio. Era disperata e lo stringeva a sé. Le lacrime di quella povera donna bagnavano la testolina del piccolo e lei lo guardava come se da un momento all’altro si potesse svegliare. Come può una creatura appena nata morire così senza neanche crescere, provare emozioni e vivere anche solamente per poco?

 

Giorno 16 novembre

Ancora non so se sono malata oppure no, ma i medici mi fanno un esame dopo l’altro. Quando chiedo certezze, mi dicono che ancora non sono riusciti a capire cosa ho e cercano pretesti per cambiare discorso. L’angoscia e la paura sono tangibili. Molti dei miei amici vengono a trovarmi e provano a rassicurarmi dicendo che tutto andrà bene. Il mio aspetto esteriore è immutato ma sento che c’è qualcosa che non va dentro di me. Non mi sento più me stessa. Qualche volta ho dei dolori allucinanti al petto che mi fanno respirare a fatica.

 

Giorno 26 novembre

Questa mattina sono svenuta e sono rimasta incosciente per quasi tre ore. Vorrei capire una volta per tutte il perché del mio stato. Vorrei che questo non fosse mai successo e che quella maledetta mattina non mi fossi sentita male. Odio sentirmi debole e soprattutto essere impotente. Mi fa stare male vedere le persone intorno a me affrante e sapere che sono io la causa di tutta la sofferenza mi rende furiosa con me stessa.

 

Giorno 10 dicembre

Ieri sera è venuto a trovarmi il mio editore con un regalo. Quando l’ho aperto sono saltata dal letto e ho cominciato ad urlare dalla felicità. Stavo tenendo in mano il libro che io ho scritto. Il libro che con l’aiuto delle mie dita e del mio cuore è stato trapuntato su carta. Sono stata informata anche del fatto che tutti i miei amici sono accorsi a comprarlo. Non ci potevo credere! Il mio sogno si è trasformato in realtà. Non ci sono parole adatte per esprimere la mia allegria. Dentro di me ci sono ancora una miriade di emozioni. Era da tanto che aspettavo questa cosa, ma non per essere famosa. Io desideravo vedere il mio nome sulla copertina solo per poter dire che è frutto del mio lavoro. Volevo condividerlo con le persone per stringere un legame emotivo e  far capire loro che ci sono anche altre cose oltre agli effetti materiali e all’ignoranza. Qualcosa di più bello, di più vero. Ora posso farlo.

 

Giorno 17 dicembre

Sono esausta! Odio stare qui senza che nessuno mi dia delle spiegazioni. Tutte le volte che mia madre entra nella  camera la vedo invecchiata. Non per l’età  ma per causa mia. Questa situazione è ardua. La vita non mi può scivolare così tra le dita, mentre la sto a guardare senza che sia come voglio io. Bramo viverla appieno e sperimentare più cose possibili ma non mi fanno uscire. Mi tengono chiusa in ospedale.

 

Giorno 25 dicembre

”Ho paura.”

”Di che cosa hai paura?” mi chiede il mio migliore amico.

”Della morte.” gli rispondo tremante.

”Hai detto una cosa saggia. Molte persone  temono cose sciocche e persino io. Tu invece no, hai paura della paura stessa.”

Mi guardo intorno e vedo le quattro pareti bianche tra le quali ho passato queste settimane. Sono terrorizzata dall’idea che quel bianco diventi qualcosa di più concreto. Il quadro a destra del mio letto raffigura una ragazzina sorridente con i capelli biondi che svolazzano, probabilmente a causa del vento.

Lui mi avvolge con le sue braccia e mi stringe a sé.

”Sono molto spaventata.”

”Andrà tutto bene. Vedrai che dopo quest’ultimi esami capiranno che non c’è niente di grave e ti rimanderanno a casa.” cerca di rassicurarmi.

Scioglie il suo abbraccio e resta a fissarmi negli occhi. I suoi sono verde scuro. Ogni volta che li guardo il mio cuore sorride per la felicità di averlo accanto a me.

Si sente uno scatto e guardo verso la porta. La maniglia si sta piegando. Entra uno psicologo seguito dall’ultimo dottore che mi ha fatto gli esami. Finora mi hanno visitata sei medici e spero che questo sia l’ultimo. Voglio andare a casa e non ritornare più qui. Mi sono stancata di restare.

Il dottore fa cenno al mio amico di uscire e lui obbedisce. Si siede vicino a me. Cerca di parlare ma le parole gli rimangono in gola.

” Mi dica che cos’ho. Senza giri di parole.”

”Non possiamo più fare niente.”

Sento che la mia faccia diventa rossa e gli occhi mi si riempono di lacrime. Sto tremando.

”Me lo dica!” dico con voce smorzata.

”Sono sicuro che lei lo sappia già, signorina”

”Sì, ma voglio sentirlo da lei. Ho bisogno di realizzare che tutto questo è vero. Magari sentirlo dire da lei mi farà provare meno paura.”

Sento le lacrime aprirsi la strada tra le palpebre e cominciano a scorrere giù per le guance. Sono calde e salate. Il dottore si alza, mi dà un bacio sulla fronte ed esce seguito dallo psicologo. Almeno lui è uno dei pochi che ha capito che non ho bisogno di compassione e neanche di psicologi. Devo accettarlo da sola e capire come affrontare il tempo che mi è rimasto. Sono stata presa a schiaffi dalla vita. Vorrei poterla prendere io a schiaffi. Non ci si può beffare delle persone in questo modo. Ho la vista offuscata e la testa in fiamme. Mi appoggio sul morbido cuscino e mi addormento.

 

Giorno 2 gennaio

Amaro. Sento solo un sapore amaro. L’amaro della consapevolezza che sono inerme. Questa notizia mi è arrivata addosso come un macigno e mi sta schiacciando sempre di più. Guardare i miei genitori è straziante. Ho sperato fino all’ultimo che i dottori si sbagliassero ma così non è stato.

 

Giorno 7 gennaio

Anche se la vita mi ha steso al tappeto con questo duro colpo, faccio di tutto per rialzarmi. Combatto . Cerco di non smarrire la forza. Ho intenzione di uscirne vincitrice e non perdente, affinché gli altri possano capire che la malattia può essere sconfitta. Voglio far ricredere i dottori riguardo alla loro diagnosi e anche togliere la maschera di compassione e di tormento di chi entra nella mia camera. Non do peso alla stanchezza e neanche alla rabbia che mi ribolle dentro per l’ingiustizia che mi è toccata.

 

Giorno 15 gennaio

 È stata una lunga nottata. Non sono riuscita a dormire a causa dei dolori continui che mi assaliscono come belve e mi consumano fino all’ultimo. L’unica cosa che mi aiuta sta sul comodino alla destra del mio letto. È un quaderno blu, il mio colore preferito. Mi imprime sicurezza e speranza insieme alla scrittura. Non faccio altro che scrivere, mi aiuta a non smarrirmi. Apro la pagina dove c’era come segno la matita, anch’essa blu. Sul foglio increspato a causa delle lacrime riesco a stento a leggere la poesia che ho scritto il giorno di Natale:

                                               VORREI CHE FOSSE DIVERSO
Sulla faccia molti gli schiaffi,
di tutte quelle volte che la sorte ha riso sotto i baffi,
negli occhi la certezza,
che non ci sarà una carezza.
Sul corpo troppe le ferite,
che mai sono guarite,
e il cuore è senza indignazione,
perché sa che è l’ultima razione,
di questa vita vissuta con rassegnazione.

Giorno 19 gennaio

Mi affaccio alla finestra della mia stanza. Lì vicino all’ospedale c’è un parco. Molti bambini ci vengono a giocare ed è la prima volta che ho avuto il coraggio di guardarli. Fa troppo male. Loro giocano e ridono spensierati mentre io sono tormentata dai ricordi della mia infanzia e dal pensiero che non  potrò mai avere figli. Avevo dei sogni, laurearmi, pubblicare altri libri, aiutare le persone e gli animali. Ambivo ad essere diversa dalle persone che abitano questo pianeta, il novantanove per cento è pieno di cattiveria, egoismo, invidia, superbia e avarizia. Io aspiravo a distinguermi, lasciare un segno e il ricordo di una donna che ha fatto qualcosa di concreto per cambiare il mondo.

 

Giorno 24 gennaio

Mi guardo allo specchio. Sono cambiata moltissimo. Gli occhi sono infossati , i capelli hanno perso la lucentezza e si vedono sporgere le ossa ovunque. Se uscissi fuori, il vento sicuramente mi farebbe volare via. Sento una stretta al cuore. È difficile da credere ma non mi arrenderò così facilmente. Combatto e combatterò.

 

Giorno 30 gennaio.

Mi documento sulla morte, su come ci si sente quando arriva il momento. Ho letto alcune testimonianze da parte di varie persone che erano ad un passo da non ritornare più. Una cosa mi è rimasta impressa nella mente, un ragazzo ha ultimato il suo racconto con una frase che personalmente ho adottato come mio motto: ”Non oggi!”

Mi dico: ”Un qualsiasi altro giorno ma non oggi.”

Dimostrerò che non sono così facile da ingannare e che la morte faticherà a strapparmi da qui.

Giorno 7 febbraio

La mia mente combatte ma il corpo non vuole collaborare. Sostiene una battaglia all’interno, contro il male che si sta espandendo e, visto lo stato in cui mi ritrovo, sta perdendo. Non ho appetito e le gambe sono deboli e intorpidite, con fatica sostengono il mio misero peso . Forse non sono così invincibile come credevo. Mi sono illusa da sola. Noi giovani ci illudiamo di poter fare qualunque cosa ma quello che non sappiamo è che gli ostacoli sono tanti. Finora ne ho affrontati molti e questo è il più grande. Il castello di sogni che all’inizio sembrava essere costruito di roccia forte ora si sta sgretolando e gli sforzi che faccio per non farlo crollare non bastano.  È come i lego, tu costruisci, costruisci, e poi cadono, come i castelli di sabbia che alla fine vengono portati via dall’acqua,  come quando stai sognando e proprio sul più bello vieni svegliato. Mia madre e il mio migliore amico stanno giorno e notte accanto a me e gli altri miei amici vengono a trovarmi di tanto in tanto. I medici dicono che troppi possono peggiorare la condizione. Tanto oramai la situazione è sfuggita di mano. Ho perso le redini e questa vita sta galoppando come dei cavalli dissennati. Mi sta dirigendo verso l’ignoto.

 

Giorno 10 febbraio

Mi hanno sempre detto che siamo gli artefici del nostro destino e che solo noi abbiamo le facoltà per plasmarlo come più ci sembra giusto. Mi hanno insegnato che raccogliamo ciò che seminiamo. Cosa ho mai fatto io per meritarmi questo usurato raccolto?

 

Giorno 15 febbraio

Sono entrata in coma. Pian piano sto cedendo e la paura mi attanaglia sempre di più. Le macchine alle quali sono collegata prolungano solo la mia sofferenza. Vorrei dire a mia madre quanto bene provo nei suoi confronti, che è la persona più bella del mondo e che non trovo parole per esprimere la mia gratitudine. Per ultimo le vorrei dire di staccare i fili perché sono inutili. Forse il qualsiasi giorno è alle porte e non posso più scappare. Sono in bilico tra la vita e la morte.

 

Giorno 20 febbraio

Ho conosciuto il dolore, il mio, delle persone che mi circondano, di tutto il mondo… Penso sempre a come gli altri reagiscono davanti al tormento e mi domando spesso a come sto reagendo io. Non riesco a capire e non sono in grado di decifrarlo. È molto strano ma credo che ormai io e il dolore siamo diventati amici, anzi qualcosa di più, siamo diventati una cosa sola. Sembra che non ho via d’uscita e purtroppo devo ammettere che è riuscito ad impadronirsi di me.

 

Giorno 22 febbraio

Non so cosa sta succedendo. C’è stato un beep e poi tutto nero. Ora mi ritrovo davanti al mio letto ma sono in piedi. Capisco di aver perso mentre guardo il mio corpo inerte. Tutto si è spezzato in pochissimi secondi. Mi metto le mani tra i capelli e urlo disperata.

”Mamma ti prego aiutami! Ho paura!”

La morte non ha colore ma è gelida. Mi serra con le sue grinfie e cerca di trascinarmi via. Mia madre piange e tendo le mani verso di lei.

”Mamma, non voglio andarmene. Ti supplico non lasciarmi andare, tienimi stretta in uno dei tuoi caldi abbracci e manda via questo freddo.”

Lei, come se mi avesse sentito, lo fa. Mi scuote e tra le lacrime e i singhiozzi mi dice che mi devo svegliare, che devo continuare a scrivere, che devo vivere…

Cerco di spezzare le catene e di svegliarmi per lei.

”Non ci riesco . Ci ho provato ma non mi lascia andare.”

Ora mia madre mi sistema la testa sul cuscino e mi accarezza il viso. Comincia a cantarmi la mia  ninna nanna preferita. Le catene si sciolgono e anche il freddo si allontana. Una luce mi appare davanti. Mi avvicino a lei e prendo le sue mani ruvide, quelle di una donna che ha dovuto resistere a una dura vita, e le stringo forte.

”Ti scongiuro, perdonami.” le sussurro.

Cammino verso la luce e il calore mi avvolge.

” Avrei voluto che fosse stato diverso.”

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